sabato 12 marzo 2016

UNA MIRATA ANALISI POLITICA

L'Illustre Prof. Salvatore Sfrecola ha voluto dedicare una serie di suoi recenti articoli - tutti pubblicati sul sito di  'Un Sogno Italiano' - ad un'analisi lucida, corretta e... cruda, dedicata alle componenti politiche italiana impegnate, a vario titolo, nelle attività preparatorie ad importanti tornate elettorali.
Per gentile concessione dell'Autore, porgiamo questi articoli all'attenzione dei nostri Lettori, che - al di là del proprio singolo ideale politico - certamente ne saranno interessati.
Buona lettura, quindi!
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Per aiutare il PD a Roma
Bertolaso, il candidato spaccatutto
di Salvatore Sfrecola
Un candidato che divide, Guido Bertolaso, fin dal primo annuncio della sua discesa in campo, per dirla alla Berlusconi. Che lo ha voluto all’evidente scopo di aiutare Renzi in gravissima difficoltà a Roma, come si vede di giorno in giorno, con le primarie del Partito Democratico che, con scarso concorso di cittadini, hanno incoronato Giachetti mentre cresce l’appeal di Fassina e spunta Bray, Presidente della Treccani, già ministro per i beni culturali, fedelissimo di Massimo D’Alema.
Ha cominciato con alcune gaffe il candidato di Berlusconi. Dicendo di non essere mai stato di destra, che se non fosse entrato in gioco avrebbe votato Giachetti, per poi uscirsene sui poveri Rom discriminati dai romani. Troppo per Matteo Salvini, troppo per i romani che lo hanno relegato molto indietro nei sondaggi del 27 e 28 febbraio quando, tra coloro che si sono avvicinati ai gazebo di NoiConSalvini, circa quindicimila, solamente 2.203 hanno indicato come candidato sindaco l’ex Direttore della Protezione Civile.
In questo fine settimana Berlusconi ci riprova. Indice una “consultazione popolare per confermare il candidato sindaco del Centrodestra”. L’indicazione è per Guido Bertolaso “la persona giusta per battere le sinistre e governare Roma Capitale”. Quindi non una scelta, come si fa con le primarie, ma la conferma, sì o no per Bertolaso, un sondaggio da raccogliere nelle piazze con i 54 gazebo autorizzati alla Questura di Roma, divenuti presto 100 nella propaganda di ForzaItalia. Alcuni di questi gazebo sono presso uffici privati, studi legali e sedi di associazioni forziste, con quali conseguenze sulla genuinità (diciamo solo così) del voto è facile immaginare.
Dunque il “patto del Nazareno” colpisce ancora. Per dividere a destra ed aiutare Renzi, in affanno a Roma come in altre città, e mettere in difficoltàNoiConSalvini in forte crescita nella Capitale, come dimostra l’affluenza ai gazebo (15mila non sono pochi) che hanno bocciato il candidato di Berlusconi.
È un passaggio delicato, cruciale. Che faranno i “salviniani” di Roma? Lo vedremo in questo fine settimana. Condividere la scelta Bertolaso significherebbe accettare una sconfitta non onorevole perché è assolutamente improbabile che arrivi al ballottaggio. Ma soprattutto sarebbe un’emarginazione che ne potrebbe decretare la fine.
Dopo “Mafia Capitale” i romani cercano un riscatto, possibile solo con qualcosa di nuovo e qualcuno che lo impersoni, desiderano una guida politica, un campione nel quale riconoscersi, che lotti per loro, contro i profittatori, gli incapaci o i capaci solamente di spartirsi appalti di lavori e forniture. Hanno visto il nuovo inNoiConSalvini e nel Movimento5Stelle che i sondaggi danno per certo al ballottaggio. Se i salviniani uscissero di scena avrebbero via libera, forse anche al primo turno.
E, poi, c’è un problema nazionale. Il Centrodestra è alla ricerca di un nuovo leader. Al momento si vede solamente Matteo Salvini. Berlusconi lo sa e cerca di metterlo in difficoltà per frenare l’esodo da ForzaItalia verso il segretario della Lega Nord che sempre più appare come una guida di statura nazionale. E Roma, in questa strategia, è fondamentale.
          10 marzo 2016
 
Scenari su cui riflettere a Roma e Napoli
Crisi delle primarie, crisi della politica e delle idee
di Salvatore Sfrecola
        Ride bene chi ride ultimo, dice di un proverbio, uno dei tanti che da sempre invitano alla prudenza. Ed imprudenti sono stati i commenti degli esponenti delPartito Democratico che hanno ironizzato sui 15.000 romani che hanno partecipato alle primarie di NoiConSalvini in un fine settimana di pioggia, vento e blocco del traffico. In pratica la metà dei voti che hanno espresso a Napoli i partecipanti alle primarie del partito del governo ed a Roma dove risultano dimezzati i consensi che avevano incoronato candidato sindaco Ignazio Marino che, eletto, è stato poi defenestrato dallo stesso segretario del partito.
È evidente il disagio dei partiti, soprattutto dei partiti che hanno governato di recente e che governano tuttora, di fronte alla assoluta insufficienza della gestione degli enti locali, ovunque. Per cui nei dibattiti televisivi che, con il concorso di giornalisti e politologi cercano di analizzare il voto, emerge chiarissima l’assenza di programmi che non siano delle generiche espressioni di fiducia nel futuro e nella buona volontà del candidato e della sua squadra. In realtà come quella di Roma, assolutamente ingovernata e difficilmente governabile i partiti che avessero voluto vincere avrebbero dovuto mettere in campo una personalità forte, capace di trascinare l’elettorato, di recuperare sull’assenteismo e di proporre alla città delle formule adeguate di gestione, non generiche ma specifiche. Questo non avviene perché nella politica ormai si cerca di navigare a vista, per evitare di dispiacere qualcuno e in questo modo non si accontentano quelli che potrebbero formare una maggioranza sicura e forte. In questo contesto è evidente che assume un ruolo determinante l’opposizione che manifesta il Movimento Cinque Stelle che unisce a molte critiche poche, ma concrete indicazioni sul da farsi, tanto che tutti ritengono che un posto sicuro al ballottaggio lo conquisterà Virginia Raggi, il giovane avvocato, con una esperienza di consigliere comunale, che il Movimento ha messo in campo, con buone possibilità di conquistare la più alta poltrona del Campidoglio.
Lo scenario che si prospetta è quindi quello di una competizione per entrare in ballottaggio fra il Partito Democratico, la Sinistra oggi impersonata da Fassina, domani forse da Bray, l’ex ministro per i beni e le attività culturali molto vicino al Massimo D’Alema, e il Centrodestra nel quale manifesta particolare vivacità il gruppo di NoiConSalvini che ha messo un po’ in difficoltà Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, che indubbiamente avrebbe potuto aspirare a giocarsi in proprio la finale per il Campidoglio. A questo punto perde efficacia anche il tentativo di Berlusconi di attribuire una qualche credibilità alla candidatura di Bertolaso, al di là di quella che appare come una manovra verosimilmente diretta a dividere il centrodestra per aiutare Renzi in una realtà difficilissima per il segretario del PD e Presidente del Consiglio.
A questo punto si può dire che la competizione è aperta e che se ilCentrodestra troverà il candidato giusto, capace, come si dice, di scaldare i cuori e di presentare un programma ed una squadra credibili, potrebbe arrivare al ballottaggio con buone possibilità di competere con la rappresentante deiCinqueStelle per la poltrona di sindaco di Roma.
Vedremo come si sviluppa la campagna elettorale, nel corso della quale si potranno cogliere elementi importanti per un pronostico più attendibile di quello che si può fare oggi quando peraltro possiamo dire che comunque i partiti trascurano ancora una volta l’esigenza che il sindaco della capitale d’Italia debba essere una grande personalità come accade all’estero. L’esempio è sempre quello di Chirac che da Presidente del Consiglio ha ricoperto per oltre 15 anni la carica di Sindaco di Parigi.
D’altra parte la difficoltà di gestire una comunità locale, lo si vede a Roma come a Milano, dove Centrodestra e Centro-Sinistra mettono in campo due manager e non due politici, come si sarebbe atteso, dimostra due cose, che in molti manca il coraggio di misurarsi su una realtà particolarmente complessa come quella di gestire grandi città con gravi difficoltà di bilancio incapaci di soddisfare le molteplici esigenze della popolazione locale, e che i partiti non abbiano saputo far crescere una classe dirigente locale capace di acquisire sul posto consensi e le esperienze necessarie, com’era una volta, per ricercare poi maggiori responsabilità politiche e amministrative, in Parlamento e al governo del Paese. È questo un degrado grave della politica, che è anche conseguenza, a mio modo di vedere, di quella crisi delle ideologie che troppi hanno ritenuto un passaggio fondamentale e positivo ma che, in realtà, è un fatto che nasconde una grave, anzi gravissima, crisi di idee.
La politica deve tornare a governare la realtà delle comunità a livello locale e nazionale, deve tornare ad essere una cosa bella, importante e nobile, come nobile è il compito di gestire le esigenze della cittadinanza in una prospettiva di miglioramento delle condizioni economiche e sociali della popolazione. È questa, in realtà, la sfida che oggi i partiti hanno di fronte. Chi riuscirà a vincerla o anche solo a prospettare un rinnovamento della politica avrà certamente l’attenzione degli italiani, di quelli che votano e dei tanti, troppi, che restano fuori dei seggi elettorali, un fatto negativo che non può essere giustificato dai politologi con la circostanza che anche in altri paesi la presenza alle urne è scarsa e spesso tende a diminuire. Anche lì evidentemente c’è una crisi della politica e delle idee della politica. Non sono, dunque, esempi da seguire.
 
7 marzo 2016
Dopo le primarie di NoiConSalvini
Centrodestra: avanti in ordine sparso
di Salvatore Sfrecola

       Berlusconi insiste, vuole Bertolaso candidato a Roma, anche se è consapevole che perderà. Lo ha promesso a Renzi? È un’appendice del “patto del Nazareno”? Lo credono in molti. Il Presidente del Consiglio e Segretario del Partito Democratico è in grosse difficoltà nella Capitale dove oggi si tengono le primarie con l’incubo dei troppi candidati di peso, e sullo sfondo l’incubo Marino, sia che si presenti, sia che il ricordo della sua gestione porti acqua al mulino dei 5Stelle se non del centrodestra.
NoiConSalvini cresce dopo le primarie del 27 e 28 febbraio. 15.000 votanti non sono pochi, in un fine settimana di pioggia, a tratti torrenziale, e vento forte, ed una domenica con blocco della circolazione.
Il sondaggio, infatti, è stato certamente un successo, che ha rivelato una significativa attenzione per il leader leghista in una Roma che generosamente ha dimenticato le vecchie polemiche di Bossi contro “Roma ladrona” comprendendone le ragioni politiche, la delusione della politica governativa (in questo senso Roma) da parte degli abitanti delle regioni più produttive. Ed è stato certamente merito del senatore Gian Marco Centinaio, commissario per Roma e il Lazio di NoiConSalvini, e dei suoi collaboratori, aver fatto convergere in poco tempo l’attenzione di tanti romani su questo evento che ha assicurato ai banchetti ed ai gazebo distribuiti per la città una significativa affluenza, come ha potuto constatare chi è stato presente ed ha parlato con coloro che si sono avvicinati ai seggi, giovani e meno giovani.
Il risultato della votazione, invece, ad una analisi politica più approfondita, desta perplessità e conferma la tradizionale italica abitudine a dividersi. A destra come a sinistra dove, per la verità le divisioni sono state nel tempo ancora più frequenti e ancora oggi di attualità, come sa bene Matteo Renzi costretto a gestire il malessere di una fronda interna, radicata sul territorio, mentre si va delineando alla sua sinistra una significativa presenza alla quale certamente non mancherà un buon consenso. Fassina, si sente dire, rastrella voti.
         La frammentazione rivelata dall’esito dello scrutinio è stata immediatamente colta da Matteo Salvini, a riprova che nell’elettorato di destra vi è uno sbandamento molto probabilmente agevolato dalla circostanza che Giorgia Meloni, la quale nella capitale ha un notevole seguito, ha dovuto rinunciare alla candidatura a sindaco in ragione di comprensibili, importanti esigenze familiari, la gravidanza annunciata al Family Day, poco compatibile con una campagna elettorale particolarmente impegnativa.
La rinuncia della Meloni ha agevolato la candidatura Marchini e quella della Pivetti. La prima conferma lo sbandamento presente a destra. “Arfio”, come viene chiamato a Roma l’ingegnere Alfio Marchini, ha sempre navigato sotto le ali protettrici della sinistra romana, anche a trascurare che la sua famiglia è stata negli anni definita dei “palazzinari rossi”, per cui non si comprende questa attenzione di parte del popolo di centrodestra se non per una prima indicazione di Berlusconi, da sempre attratto da figure di carattere imprenditoriale delle quali trascura sistematicamente la fragilità politica e personale, che pure avrebbe dovuto imparare a proprie spese. E forse anche dall’aspetto di “giovin signore” che "Arfio" ha cercato di accreditare.
La figura della Pivetti, spuntata all’improvviso, è quella di una personalità certamente rimarchevole, colta, vicina al mondo cattolico che a Roma conta sempre molto, abile nei dibattiti televisivi, determinata. Ma anch’essa estranea al centrodestra capitolino.
La modesta performance di Guido Bertolaso conferma la sua estraneità al mondo del centrodestra e il non gradimento dei romani per un personaggio la cui efficienza è costata molti milioni di euro ai contribuenti. Considerato che Bertolaso non ha alcuna possibilità di essere eletto, la sua candidatura è evidentemente strumentale, come ho detto in apertura, nell’ottica di un aiuto a Renzi. Uno scambio per cosa? Il vecchio leader è veramente l’alfa e l’omega del Centrodestra, lo ha creato ed è pronto a distruggerlo. La politica non c’entra, è solo una questione di affari.
Troppi galli a cantare a destra ed a sinistra faranno il gioco del Movimento Cinque Stelle, che anche nella fase conclusiva della gestione Marino ha dimostrato molta determinazione, così conquistando molta visibilità.
La frammentazione del voto sottolinea, inoltre, la diversa provenienza ed esperienza politica dei candidati che hanno avuto voti nelle primarie del 27 e 28 febbraio. Infatti non si tratta di personaggi riconducibili a varie anime di un partito politico ma di persone che o non hanno mai militato in partiti, come Bertolaso, o sono lontani anni luce dalla storia delle destra romana, come Marchini e la Pivetti. Questo deve aver preoccupato Salvini perché è indice di una varietà di orientamenti nell’elettorato che può rivelarsi estremamente dannosa al momento del voto, in quanto potrebbe favorire l’astensionismo e, in qualche modo, limitare il numero dei consensi a favore del candidato sindaco. E c’è da chiedersi perché il centrodestra che, secondo ogni sondaggio, a Roma come nel Paese intero, gode di ampi consensi, non riesca ad individuare una personalità politica capace di rappresentare un mondo variegato ma certamente unito da valori determinanti, una personalità che non abbia scheletri negli armadi, che abbia la capacità di esporre con chiarezza e determinazione le idee per le quali chiede il consenso e che sia individuato dall’opinione pubblica di centrodestra come il campione al quale affidare con fiducia le sorti della competizione.
Non c’è dubbio che questo variegato e composito mondo di professionisti, impiegati, artigiani, imprenditori sia stato tenuto lontano dalla politica dai comportamenti di Silvio Berlusconi il quale ha riordinato il centrodestra all’inizio degli anni 90, lo ha portato al governo con una maggioranza come non se ne ricordano altre della storia della Repubblica italiana, ma composta di gente arruolata sulla base di valori non propriamente politici, come la giovane età e la gradevolezza, quasi sempre senza alcuna esperienza politica e professionale e, ciò che è più grave, spesso senza la capacità di farsene una sui banchi di Montecitorio e di Palazzo Madama. Ciò ha impedito al Governo di acquisire quel forte consenso nell’elettorato necessario per avviare le riforme delle quali l’Italia aveva ed ha bisogno. Nel quinquennio 2001 - 2006 quella maggioranza ha perduto più occasioni per essere protagonista di una svolta che il Paese auspicava per uscire da quella morta gora nella quale l’aveva tenuta la sinistra dei Prodi dei D’Alema degli Amato. Quella sinistra che Matteo Renzi si è proposto di rottamare senza però offrire al Paese, al di là di slogan e battute di spirito, una alternativa istituzionale e di governo efficace, come dimostra l’estrema modestia delle decisioni cosiddette riformatrici finora assunte, al di fuori di una visione d’insieme, incapace di far leva sulle risorse disponibili attraverso un’autentica revisione della spesa che non siano tagli indiscriminati e illogici fatti qua e là per recuperare qualche risorsa da distribuire a destra e manca più che altro a scopo elettorale.
In questo contesto di generale confusione dove i leader politici cercano consensi parlando alla pancia dell’elettorato di riferimento, la destra liberale è in condizione di svolgere un ruolo importante perché presente nel Paese a tutti i livelli con personalità di rilevante spessore morale e professionale. Su questo patrimonio naturale i leader del centrodestra devono puntare, evitando le ripicche, le scelte non meditate, soprattutto avendo la capacità di svolgere un’azione di contrasto al governo in carica senza compromessi.
Il Paese ha di fronte un momento difficile sul piano economico dacché i risultati dello zero virgola, registrati dall’ISTAT, ottimisticamente interpretati, non sono sufficienti a realizzare condizioni significative di sviluppo, mentre i venti di guerra che soffiano sull’altra sponda del Mediterraneo fanno temere complicazioni non indifferenti sotto il profilo della sicurezza per il nostro Paese e costi rilevanti in termini umani e finanziari. L’ipotesi di intervenire militarmente in un paese che ben conosciamo, nel quale non è mai esistito uno Stato centrale, essendo retto da un dittatore che con la forza ha condizionato gli interessi e l’azione delle varie tribù, rende difficile la pacificazione della Libia, come dimostra l’impossibilità ad oggi di dar vita ad un governo che sia espressione di una parte significativa delle popolazioni e dei territori. E se è certo che un paese non si pacifica senza truppe di terra è evidente che un conflitto sul territorio, pur condotto con la maggiore prudenza possibile, limitando l’esposizione degli uomini al fuoco avversario con utilizzazione in gran numero di mezzi blindati, aerei ed elicotteri comporterà comunque vittime che gli italiani non sono abituati a metabolizzare, come dimostra l’esperienza delle operazioni di pace che finora hanno comunque comportato morti per ognuno dei quali solo in Italia si fanno funerali di Stato, proprio a dimostrazione del fatto che non siamo un popolo guerriero e che ogni morte determina un grave choc nella popolazione, al di là del naturale dolore di parenti ed amici.
          6 marzo 2016

 

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