domenica 13 dicembre 2015

TASSAZIONE, GIUSTIZIA E FIDUCIA... NELL'ANALISI DEL PROF. SFRECOLA

I nostri Lettori ormai ben conoscono gli scritti di S.E. il Prof. Salvatore Sfrecola, apprezzandone lo stile asciutto ed i contenuti né casuali né superficiali.
Qui proponiamo quattro degli ultimi articoli che - su cortese disponibilità offertaci dall'Autore - abbiamo tratto dal sito di 'Un Sogno Italiano', porgendoli all'attenzione dei nostri affezionati Lettori.
Ci permettiamo di sollecitarvi nell'inserire il link del sito in questione tra i Vostri favoriti: sarete così tempestivamente aggiornati sui contenuti - di elevata qualità sociale e politica - disponibili per la lettura e l'analisi. Buona lettura, quindi!

Le tasse sulla seconda casa ingiuste e dannose per l’economia
di Salvatore Sfrecola

        Ha ricevuto molti consensi su Facebook qualche mia considerazione sulla tassazione delle seconde case che nella vulgata del governo e dei partiti sarebbe giusta perché quelle abitazioni rappresenterebbero un “indice di ricchezza” e comunque assicurerebbero congrue entrate agli enti locali. Di tutto questo è vera solamente quest’ultima affermazione. In effetti i comuni marittimi o montani si rifanno sulle seconde case tassandole pesantemente per recuperare quelle risorse che non provengono più dai trasferimenti erariali. Ugualmente mi è stato fatto osservare concedono licenze edilizie solo per incassare
         Sennonché le seconde case, a valutare nella sua realtà il fenomeno, sono tutt’altro che un indice di ricchezza. In primo luogo perché il più delle volte sono modeste abitazioni, anche quando pomposamente definite “villette”, ereditate dai nonni e dai padri che di quelle località marittime collinari e montane sono originari. Case mantenute soprattutto per motivi affettivi per brevi vacanze estive invernali o nei fine settimana. Inoltre, proprio per essere poco utilizzate e comunque in ragione delle località nelle quali sono collocate abbisognano di costose e continue manutenzioni le quali attivano lavoro per artigiani locali, muratori, idraulici, giardinieri, che alleviano difficoltà dei residenti spesso costretti ad “arrangiarsi” proprio con quei lavoretti saltuari assicurati dalla manutenzione delle seconde case.
         Oggi la tassazione scoraggia la disponibilità di una seconda casa. Il mercato è fermo, come attestano le agenzie immobiliari. Inoltre quelle case non si vendono per cui spesso sono abbandonate, con effetti negativi anche sull’economia degli enti locali interessati i quali avrebbero, invece, da un’espansione degli immobili notevoli incentivi per tutte le attività commerciali, dai ristoranti alle attività artigianali che fioriscono dovunque in Italia, preziosa risorsa delle comunità.
          Inoltre la presenza di seconde case favorisce l’aggregazione di amici con effetti sollecitatori di ulteriori iniziative locali che gli enti locali attivano attraverso ricorrenze della loro storia, sagre paesane ed altre attività, comprese quelle, frequenti in questo nostro Paese, di valorizzazione dei beni culturali, in specie di quelli del patrimonio archeologico.
           Insomma, gravare le seconde case di imposte pesanti è un errore gravissimo perché disincentiva una serie di attività che spesso consentono la sopravvivenza di località che altrimenti sarebbero abbandonate ad un rapido degrado. La mentalità rapinatoria del fisco italiano a tutti i livelli va abbandonata, dovendosi invece ritenere che tassare o detassare è strumento di politica economica prezioso come tradizionalmente ritenuto dagli economisti e dai politici più avveduti, quelli che guardano lontano e apprezzano gli effetti dell’intervento pubblico nel tempo.
           Detassare le seconde case, dunque, si può e si deve. Ma è dubbio che questa classe politica modesta comprenda la necessità di stimolare un settore dell’economia che, specialmente nell’hinterland delle grandi città si basa molto su immobili destinati al riposo, allo svago e all’attivazione di relazioni che arricchiscono quelle località ed i loro abitanti. Ed anche gli enti che dalla vivacità della comunità possono ritrarre maggiori entrate, in particolare da attività commerciali fiorenti e vantaggi da una ridotta necessità di aiutare persone in difficoltà per le scarse possibilità di lavoro. Specialmente in questo periodo.
          L’economia di una comunità, infatti, va vista nella sua globalità e nelle possibilità di sviluppo che è sbagliato comprimere alla base disincentivando un settore che, come abbiamo visto, offre tante possibilità.
          6 dicembre 2015

Le parole della fiducia, la sfiducia nei fatti
di Salvatore Sfrecola

Il Presidente del Consiglio sparge fiducia a piene mani, sempre, ad onta dei risultati spesso deludenti della ipotizzata crescita del PIL, dei consumi e dell’occupazione. Vede ovunque segnali positivi e speranze sottolineando che questo “è un grande Paese”. Solo in queste ultime quattro parole c’è della verità, ma soltanto “storica”, perché per altro verso, come attestano l’ISTAT ed il CENSIS le cose non vanno proprio così bene. In particolare per l’Istituto diretto da Giuseppe De Rita, che ha appena diramato il suo annuale rapporto, l’Italia è ferma in un “letargo esistenziale collettivo”. La politica tenta di “trasmettere coinvolgimento e vitalità al corpo sociale” senza riuscirvi. È una sorta di “limbo italico”, dice De Rita. Infatti, al di là della contingenza delle festività di Natale e di fine anno, che indurranno la maggior parte di noi a donare ed a donarsi qualche oggetto per festeggiare, gli italiani spendono meno dell’auspicato e di quanto dicono gli interessati a spargere fiducia nei consumatori, a cominciare dalle associazioni di categoria dei commercianti. Non dimentichiamo che il 16 dicembre dovremo pagare salatissime IMU e TASI.
         Ragioniamo un po’ sul fatto che alle parole di fiducia di Matteo Renzi gli italiani riservano una prudente attenzione che in molti casi conduce a maturare una consapevole sfiducia. In primo luogo c’è il dato obiettivo attuale, certificato dall’ISTAT, che la crescita e l’occupazione non vanno proprio come il Governo si attendeva e come il Premier riteneva possibile, addirittura affermando che l’Italia sarebbe a breve diventata “la locomotiva d’Europa”, espressione che ci farebbe piacere fosse vera ma che denota in chi la pronuncia una scarsa conoscenza della realtà e delle prospettive effettive che si pongono al nostro Paese. Ma quel che frena gli entusiasmi degli italiani, o meglio che impedisce che si manifesti nella maggior parte dei nostri concittadini un minimo di fiduciosa aspettativa nel futuro, sono le ricorrenti indicazioni che provengono dal Governo e dai suoi organi, di blocco degli stipendi e delle assunzioni che rendono evidenti le difficoltà, la mancata revisione della spesa pubblica improduttiva o parassitaria o, ancora, conseguenza di sprechi e di cattiva gestione, sintomo di incapacità di gestione e di non conoscenza dei fenomeni. Infine, le ricorrenti proposte di revisione delle pensioni. Tutto questo evidentemente preoccupa gli italiani che vi rinvengono elementi di incertezza per ciò stesso generatori di sfiducia.
          Dalle parole del Premier, dalle più prudenti esternazioni del Ministero dell’economia Padoan, che sembra aver perso negli ultimi tempi l’originaria riservatezza per spiegare e precisare il valore e le prospettive che derivano da uno zero virgola in più o in meno, parole le quali dimostrano che si parla comunque di piccole cose, gli italiani non possono essere indotti a sentire fiducia nella politica del governo e nelle prospettive che da questo vengono indicate.
          In particolare le tasse crescono, il mercato immobiliare è sostanzialmente fermo e con esso l’indotto, non solo dei materiali di costruzione ma anche del mobilio e degli elettrodomestici che naturalmente si ricollegano all’acquisto o al cambio dell’abitazione. Aggiungasi la crisi delle seconde case che non si vendono e vengono gravate da imposte pesanti, un errore, come diremo meglio in altra occasione, perché le seconde case, intese come luogo di vacanza sono uno stimolo per l’economia delle località marine, collinari o montane, favorendo occupazione nelle ristrutturazioni e nella manutenzione. Inoltre si deve smettere di ritenere la seconda casa un lusso, perché spesso è solamente la casa dei nonni o dei genitori, ereditata e mantenuta per ricordi d’infanzia e per attaccamento ai luoghi.
           Dove, dunque, la fiducia di Renzi per le prospettive della ripresa? Il Premier dice fiducia ed i suoi uomini raffreddano ogni entusiasmo prospettando agli italiani nuove tasse o “ritocchini” alle tariffe, blocco delle assunzioni che invecchiano le strutture amministrative e tecniche dello Stato e degli enti pubblici con effetti evidenti sull’efficienza dei servizi. In prospettiva a giorni alterni il Presidente dell’INPS, Boeri, fa analisi drammatiche dei conti pubblici affidati alle sue cure con prospettive non favorevoli. Si è perfino ipotizzato, non è chiaro chi lo abbia detto ma si è sentito ripetere sui giornali e nelle trasmissioni televisive, che i pensionati i quali assumono la residenza in un paese estero, anche dell’Unione Europea, sappiamo che vanno di moda soprattutto Portogallo e Spagna – Canarie, potrebbero avere non più liquidata la pensione al lordo delle imposte che pagherebbero nel nuovo stato, imposte ovunque assai più leggere. Una prova della esosità del fisco italiano.
         Un panorama che non può destare fiducia. Non bastano le parole, anche se sono importanti ed autorevoli che se smentite dai fatti perdono autorevolezza. E inducono al sospetto che dietro quelle parole non ci sia competenza e ragionevole gestione della realtà.
          5 dicembre 2015


Prove tecniche di regime
Le mani del Governo sul Consiglio di Stato
di Salvatore Sfrecola

Si sente dire, uso questa espressione per carità di Patria nella speranza non sia vero, che il Governo avrebbe chiesto al Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa, l’Organo di autogoverno di TAR e Consiglio di Stato, una rosa di cinque nomi tra i quali scegliere il prossimo Presidente del Consiglio di Stato, carica vacante da quando, alcuni mesi fa, Giorgio Giovannini si è dimesso per protesta nei confronti della decisione governativa di “sfoltire” il ruolo dei giudici amministrativi mandando in pensione anticipata un bel numero di essi, nell’ambito di un preannunciato “ricambio generazionale” che ha mandato a casa i più anziani senza contestualmente reclutare giovani.
È una decisione senza precedenti quella di cui si sente dire, perché i governi hanno fin qui seguito una prassi secondo la quale la norma, la quale prevede che il Presidente del Consiglio di Stato sia nominato con decreto del Presidente della Repubblica su deliberazione del Consiglio dei Ministri, “sentito” il Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa, è stata costantemente interpretata come una designazione dello stesso Consiglio (tramite l’Organo di autogoverno) nel rispetto dell’autonomia della magistratura amministrativa, in un sistema normativo nel quale la deliberazione del Governo deve essere intesa solamente come una forma di adozione dell’atto di nomina, rimanendo la scelta assegnata all’Organo di autogoverno.
Il sistema della “rosa” di candidati lede a fondo l’autonomia della magistratura amministrativa in quanto introduce un sistema di scelta che attua una accentuata discrezionalità in favore del Governo assolutamente incompatibile con l’indipendenza della magistratura.
Sarà perché il Consiglio di Stato, dimostrando una spiccata indipendenza, ha in questi ultimi tempi adottato una serie di pronunce che hanno dispiaciuto il Governo arrivato a vette di improntitudine straordinarie, addirittura ritenendo irrilevanti l’effetto di talune pronunce “sgradite” del Consiglio in sede consultiva.
La richiesta di una rosa è un segnale che deve preoccupare tutti coloro che credono nell’indipendenza della magistratura (a breve sarà la Corte dei conti a rinnovare il suo presidente) e nel rispetto delle regole costituzionali sulla separazione dei poteri e sul principio di imparzialità, cioè di legalità, che permea l’assetto della Repubblica.
Ornai è evidente che il Presidente del Consiglio nutre fastidio per le regole della democrazia, come dimostra il fatto che ha inteso mortificare ripetutamente il Parlamento costretto a votare sulla base di mozioni di fiducia tutte le leggi che lo interessano, comprese quelle di conversione di alcuni decreti legge che hanno manomesso importanti regole del diritto, come quelle che riconoscono i diritti acquisiti, convalidati da pronunce della Corte costituzionale. Altro organismo inviso al leader che, infatti, non riesce a far eleggere i giudici costituzionali mancanti da tempo perché, a differenza di quanto è avvenuto fin qui con una equilibrata scelta delle varie forze politiche, vuole dalla sua parte tutti i giudici da eleggere, nel timore che una Consulta indipendente potrebbe riconoscere l’incostituzionalità di alcune delle riforme alle quali il Ministro Boschi ha affidato la sua notorietà nella storia del diritto italiano. E non a caso si sentono fare nomi di personaggi, Crozza imitando il Governatore della Campania, De Luca, li chiamerebbe “personaggetti”, i quali avrebbero conquistato il cuore del Presidente del Consiglio con una serie di favori dei quali anche si vanno gloriando nelle anticamere del potere.
Sono note le prepotenze dei governi. E sappiamo che sono sempre indice di intolleranza per le regole. Alle quali spesso ha messo ordine la magistratura. Per questo Renzi cerca di scegliersi il Presidente del Consiglio di Stato che più gli aggrada. Calcolo in ogni caso miope. Le magistrature si esprimono in forma collegiale, laddove il Presidente è soltanto un primus inter pares. Sempre che gli altri componenti del collegio abbiano la spina dorsale dritta.
11 dicembre 2015

 

Per garantire l’indipendenza dei giudici va eliminato il potere delle correnti organizzate negli organi di autogoverno, a cominciare dal CSM
di Salvatore Sfrecola
 
Nella sua puntata di domenica 29 novembre Report, di Milena Gabanelli, ha affrontato, tra l’altro, il tema del funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) quanto alle scelte dei magistrati da assegnare agli uffici direttivi, compito delicatissimo sempre ma di particolare rilievo in questa stagione di nomine importanti, a cominciare da quella di Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione per continuare con quelle dei Presidenti e Procuratori generali di molte Corti di appello, in conseguenza dei pensionamenti anticipati voluti dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi nell’ambito di quello che è stato presentato come un ampio “ricambio generazionale”. Che non c’è stato e non c’è. L’abrogazione delle norme che prevedevano il trattenimento in servizio oltre il 70° anno di età è servito solamente a cambiare i vertici di molti uffici giudiziari, non solo ordinari ma anche del Consiglio di Stato e della Corte dei conti. Infatti il “ricambio” non è “generazionale” se non nel senso che assumono posizioni funzionali magistrati più giovani, ma alla base non entrano tanti quanti sono coloro che se ne vanno. Pertanto l’Amministrazione della giustizia si rinnova solo nei vertici ma non si ringiovanisce.
Quanto alla gestione delle nomine è nota una antica querelle. Le scelte vengono pesantemente determinate dalle varie componenti presenti nel CSM dove siedono laici eletti dal Parlamento, cioè dai partiti, e togati scelti dalle varie correnti della Magistratura, eletti dai colleghi. E l’esperienza insegna che, per ottenere un posto di responsabilità e di prestigio, il candidato deve avere il gradimento delle due componenti che spesso concordano su quale magistrato far convergere i voti. Ed è inevitabile che i curricula dei partecipanti alle procedure siano esaminati almeno sotto due profili, uno per qualche verso “politico”, l’altro dell’appartenenza ad una determinata corrente dell’Associazione Nazionale Magistrati. Fuori di questa logica non si va da nessuna parte. Clamoroso il caso di Giovanni Falcone che, nonostante l’esperienza che poteva vantare nella lotta alla mafia, fu superato nell’attribuzione del posto di capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo da un collega, certamente più anziano, ma con una esperienza che forse sarebbe stato meglio utilizzare altrove. Questa almeno è stata la generale valutazione di quanti hanno seguito quella vicenda. Della quale Report ha chiesto anche a Cesare Mirabelli, all’epoca Vice presidente del CSM, il quale non ha voluto entrare nel merito di quella scelta limitandosi a dire di non aver espresso un voto. Di recente anche Piercamillo Davigo, magistrato di grande valore, con una esperienza a tutti nota si è visto precludere la strada di Presidente della Corte d’appello di Torino.
Che le correnti la facciano da padrone lo dicono in molti, da tempo, soprattutto tra i politici che lamentano una magistratura “politicizzata” in relazione ai vari orientamenti delle sue componenti. Ad esempio “Magistratura Democratica” è stata sempre ritenuta più vicina alla sinistra politica, “Magistratura Indipendente” più affine alle idee politiche del centro destra. Per quanto possono valere queste semplificazioni.
Sta di fatto, peraltro, che indubbiamente l’appartenenza ad una corrente assicura una protezione certa da parte dei rappresentanti di detta componente nel CSM e garantisce un più agevole riconoscimento delle aspettative dei candidati.
È un fatto che si riscontra anche nelle altre magistratura le quali hanno un organo di autogoverno che cura la definizione dei carichi di lavoro e attribuisce gli incarichi direttivi e semidirettivi attraverso procedure concorsuali fortemente criticate e sospette di illegittimità, anche secondo le valutazioni del Consiglio di Stato, considerato che i “criteri” per la gestione di questi meccanismi non sono sorretti da norme di legge, nonostante la Costituzione lo preveda esplicitamente all’art. 108. Lo dimostra il pesante contenzioso dinanzi ai Tribunali Amministrativi Regionali e, in appello, al Consiglio di Stato. Per non dire delle questioni rimesse all’attenzione della Corte costituzionale.
È una situazione che non può andare oltre. Io sono stato favorevole alla introduzione di membri togati eletti nel Consiglio di presidenza della Corte dei conti, l’ho fortemente voluta come esponente dell’Associazione Magistrati e difesa anche quando la polemica politica criticava le correnti nell’ambito dell’Associazione Nazionale Magistrati e nella gestione del CSM. L’esperienza, purtroppo, ha dimostrato che quelle critiche erano fondate, che l’appartenenza ad un Gruppo associativo condiziona l’azione del rappresentante di quel gruppo nell’organo di autogoverno. Ugualmente nella elezione dei Giudici costituzionali il risultato è condizionato dalla appartenenza ad un gruppo e, soprattutto, dalla sua compattezza.
Una soluzione s’impone, dunque, rapidamente per restituire serenità alle magistrature con una modifica incisiva della composizione degli organi di autogoverno. Evidentemente la componente togata è essenziale per bilanciare la presenza dei politici eletti dai partiti sulla base di intese che prefigurano future decisioni concordate sulla scelta di coloro che dovranno ricoprire le posizioni di vertice. La soluzione è una sola, quella di prevedere che i componenti togati siano scelti sulla base di un sorteggio tra tutti i magistrati in servizio. In questo modo sarà assicurata una equilibrata valutazione delle candidature ai vari posti di funzione sulla base dei curricula, essendo estranea ogni influenza dell’appartenenza ad una corrente. Ci sarà sempre la possibilità che un magistrato presente nell’Organo di autogoverno possa essere “sensibile” alle aspettative del collega di concorso o che ha condiviso con lui qualche esperienza professionale. Ma non ci sarà più una scelta per motivi di appartenenza correntizia a tutti i costi, anche quando sia evidente che il candidato non ha i requisiti per rivestire il ruolo per il quale concorre.
In questo modo si abbatterà certamente anche il contenzioso che cresce di giorno in giorno, anche per effetto della pervicace difesa delle scelte fatte che spesso vengono mantenute nonostante le pronunce del giudice amministrativo. È accaduto, infatti, che annullata una procedura concorsuale dal Consiglio di Stato l’Organo di autogoverno l’abbia rinnovata giungendo alle medesime conclusioni. Certamente contando sul tempo, che dissuade da una successiva iniziativa giudiziaria, specie in vista dei pensionamenti. Un caso evidente di denegata giustizia.
Poi dovremo parlare dei vertici delle magistrature. Devono ruotare. Si tratta di organi collegiali non burocratici. Ma di questo parleremo in altra occasione.

2 dicembre 2015

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