venerdì 25 settembre 2015

QUAL'E' IL RUOLO DEL PARLAMENTO?

SUL SITO DI "UN SOGNO ITALIANO" - MIRABILMENTE DIRETTO DAL PROF. SALVATORE SFRECOLA - E' OSPITATO UN ARTICOLO DI ATTUALITA' POLITICA A FIRMA Senator .
LO RIPRENDIAMO SU QUESTE PAGINE, STANTE IL VALORE DEL CONTENUTO.
INOLTRE, PROPRIO A FIRMA DEL PROF. SALVATORE SFRECOLA, RIPRENDIAMO CON PIACERE L'ARTICOLO CHE INSERISCE LO SPECILLO NEL BUBBONE DI QUEL CONTESTO CONOSCIUTO CON IL NOME DI "ROTTAMAZIONE".
 
BUONA LETTURA!

Il ruolo del Presidente del Senato
secondo Debora Serracchiani
Eletto nel PD accetti le indicazioni del partito
di Senator

“Io rispetto molto il Presidente Grasso, eredo che sia assolutamente un Presidente di garanzia ma credo anche che essendo stato eletto nel partito democratico e conoscendo fino in fondo quelle che sono le scelte del partito democratico, be’ penso che ne debba accettare anche la indicazioni”. In queste affermazioni sta la concezione dello Stato e il rispetto delle istituzioni che ispirano ilPartito Democratico, come sintetizzate da un suo esponente di spicco, il presidente del Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani, vice segretario del partito.

C’è una intrinseca contraddizione tra il proclamato rispetto per il presidente del Senato, il riconoscimento del suo ruolo di garanzia in quanto eletto al vertice di quella Camera, che un tempo si definiva “alta”, il suo essere la “seconda carica dello Stato” (“Le funzioni del Presidente della Repubblica, in ogni caso che egli non possa adempierle, sono esercitate dal Presidente del Senato”, art. 86 della Costituzione), ed il richiamo duro alla circostanza che essendo stato eletto nelle liste del Partito Democratico ne debba accettare le indicazioni, cioè la proposta di riforma del Senato targata Renzi-Boschi.

Devo dire che le cronache parlamentari ricordano rari esempi di una simile interpretazione del ruolo istituzionale del presidente del Senato nel momento in cui presiede l’assemblea di Palazzo Madama e garantisce il corretto svolgimento dei lavori. L’affermazione della Serracchiani potrebbe passare anche in secondo piano se essa non avesse un ruolo di rilievo nel suo partito, perché quelle parole dimostrano una concezione dello Stato e delle istituzioni che più volte abbiamo sentito nelle parole del Presidente del Consiglio quando, nella direzione del partito del 21 settembre, si è in qualche modo lamentato di non avere il potere di convocare le Camere.

La democrazia liberale, quella che è nata dalla Rivoluzione Francese, che nel corso dell’Ottocento e del Novecento ha avuto un’evoluzione che costantemente ha confermato il ruolo di neutralità e garanzia delle istituzioni dello Stato, dal presidente della Repubblica ai presidenti delle Camere, alla magistratura, alla Corte costituzionale, viene messa in discussione quando si fanno affermazioni del genere che abbiamo riportato, nelle quali si ritiene che l’esercizio del ruolo di garanzia del presidente di una camera debba essere condizionato dalla sua appartenenza al partito che lo ha fatto eleggere.

La battuta della Serracchiani, come altre analoghe di esponenti di spicco del Partito Democratico, a cominciare da alcune esternazioni del Presidente del consiglio e segretario del partito, dal sapore inequivocabilmente autoritario, passeranno certamente inosservate nell’opinione pubblica generale ma sono segnali di fastidio per le regole della democrazia, per il dibattito parlamentare e per il confronto tra i partiti che costituiscono il sale della democrazia. Una battuta del genere sarebbe inconcepibile in ogni altro paese dell’Europa democratica, per cui è un segnale che le forze politiche e la gente dovranno cogliere perché è da queste affermazioni e dal comportamento conseguente che si individuano tratti essenziali di una concezione politica che tende a mettere sotto scacco ed a condizionare le istituzioni democratiche e gli istituti di garanzia che caratterizzano il nostro impianto costituzionale.

La politica in generale ci ha abituato ad interventi normativi che hanno via via limitato i poteri delle istituzioni dello Stato incidendo ora su questo ora su quell’aspetto del funzionamento delle istituzioni, piccoli colpi alle regole che a volte passano inosservati, che non determinano nell’immediato reazioni forti ma che mettono punti fermi su una concezione privatistica dello Stato che non ci appartiene e della quale dobbiamo aver paura.

Gli italiani devono ribellarsi a questo modo di intendere il funzionamento dello Stato, presto, ad evitare che il degrado e l’appropriazione delle istituzioni da parte dei partiti, la “partitocrazia” che denunciava cinquant’anni fa Giuseppe Maranini, arrivi a livelli tali che per fermarlo ci sia bisogno di una ribellione forte che potrebbe sembrare autoritaria, se autoritaria non fosse l’azione politica che è necessario contrastare.

24 settembre 2015



Quando le furbizie hanno le gambe corte
Il rottamator scortese

di Salvatore Sfrecola

La parola rottamazione non l’ha inventata Matteo Renzi. L’ha soltanto trasferita dal linguaggio delle auto vecchie alle persone. Al di là, dunque, del taglio sgradevole, immediatamente percepito non solo dai destinatari della rottamazione ma dall’opinione pubblica più sensibile allo stile che deve caratterizzare i rapporti tra le persone, anche quando polemici, l’espressione indica naturalmente la sostituzione di un bene vecchio con uno nuovo e, per le persone, di un anziano con un giovane, quello che viene definito anche “ricambio generazionale”. Ora non è dubbio che nel pubblico, nelle amministrazioni e negli enti, ci sia bisogno di un ricambio, dell’ingresso di forze nuove perché i giovani sono portatori di stimoli, spesso indotti da esperienze in paesi esteri come nel caso di coloro che frequentano i corsi Erasmus, che possono giovare alle amministrazioni e alle imprese pubbliche.

Il fatto è che questo non accade. La soppressione dell’Istituto del trattenimento in servizio, che assicurava ai funzionari due anni di ulteriore permanenza negli uffici dopo il 65º anno di età, non è stato accompagnato dal reclutamento di giovani, neppure da un inizio di reclutamento. Anzi, il blocco delturn over, cioè la sostituzione di chi va in pensione, sta invecchiando l’amministrazione con gravi problemi in alcuni settori, a cominciare dalle forze di polizia che non hanno giovani in numero sufficiente per assicurare un controllo adeguato del territorio. Polizia di Stato e Carabinieri che, ognuno ricorderà, assicuravano una presenza di pattuglie composte da giovanissimi, in condizione di contrastare all’occorrenza i violenti, oggi dislocano nelle strade non più ventenni ma agenti più anziani, certamente idonei ad operazioni di controllo del territorio che non comportino uno scontro fisico.

Anche per la magistratura Renzi deve aver avuto suggeritori che lo hanno indotto ad abrogare le norme sul trattenimento in servizio, senza preoccuparsi che gli uffici direttivi più importanti, i tribunali, le corti d’appello,  le procure generali presso le corti d’appello e presso i tribunali sarebbero rimasti prive del capo dell’ufficio. Naturalmente quelle posizioni sono state rimpiazzate, ma non si è previsto un reclutamento che possa compensare quei collocamenti a riposo.

Questa scelta, in assenza di un reclutamento che comunque richiede tempo, appare come una falcidia di una parte della classe magistratuale, assolutamente ingiustificata se non si vuol giungere alla conclusione che questo fosse l’effetto voluto per favorire un ricambio, non generazionale, con persone che hanno un motivo per guardare con simpatia il rottamatore che ha loro consentito di fare un passo avanti prima del previsto.

Chi ha spinto, all’interno delle amministrazioni e delle magistrature, è stato miope, considerato che insieme alla soppressione del trattenimento in servizio è stata abbassata l’età di pensione.

Il potere, come ben sappiamo, si autoalimenta, così il premier ha la possibilità di piazzare a destra e a manca uomini suoi, soprattutto nelle imprese a partecipazione statale, uomini che, a loro volta, scendendo per li rami riusciranno a piazzare persone a loro gradite negli uffici. Lo ha spiegato bene L’Espresso in edicola che ha pubblicato una mappa dei fedelissimi del presidente del consiglio rapidamente piazzati nei posti che contano. Lo hanno fatto altri prima di lui, essendo il mondo delle imprese partecipate la riserva di impiego dei fedelissimi, dei clientes che bussano alla porta di ministri, sottosegretari e sindaci, come dimostra la pantomima della soppressione si soppressione no delle imprese degli enti locali che spesso hanno più consiglieri di amministrazione che impiegati.

Quel che preoccupa in tutto questo è l’abbandono dell’amministrazione pubblica, la mancata riorganizzazione dei ministeri e della dirigenza che, tra l’altro, ha bisogno di nuove procedure adeguate alle esigenze delle politiche pubbliche. Il premier dice che anche qui ha riformato. In realtà è stato fatto pochissimo, in modo inadeguato perché evidentemente manca una visione d’insieme e una conoscenza profonda dell’amministrazione, della sua organizzazione, delle sue regole e della professionalità dei suoi uomini. Per dire di come sia inadeguata la esibita semplificazione basti far riferimento al decreto cosiddetto “sblocca Italia” che sulla Gazzetta Ufficiale occupa quasi trecento pagine stampate con un corpo molto piccolo.

Il premier corre e di giorno in giorno promette cose nuove spesso in contraddizione con quanto in precedenza aveva promesso. Evidentemente non ha le idee chiare, al di là dell’occupazione dei posti di potere negli enti, né le hanno i suoi collaboratori assolutamente privi di qualunque esperienza amministrativa e pertanto soggetti a suggerimenti di persone spesso interessate o che hanno, a loro volta, una conoscenza parziale della realtà sulla quale intendono operare.

È difficile immaginare che con questo forsennato rincorrersi di proposte e di promesse l’Italia possa recuperare quell’efficienza che è la prima esigenza di ogni governo e che è necessaria per perseguire obiettivi di sviluppo economico e sociale. Dagli esperimenti governativi non ci attendiamo una amministrazione più efficiente al livello di quelle dei maggiori paesi europei, che hanno una tradizione consolidata, dalla Francia, al Regno Unito, alla Spagna, alla Germania. Purtroppo.

La ballata della riforma costituzionale ne è una espressione eloquente. Una riforma, ha sostenuto nei giorni scorsi Matteo Renzi, attesa da settant’anni (peccato che la Costituzione ne abbia solo sessantotto). Comunque non basta cambiare. E questo Senato non serve se non a garantire l’immunità ai consiglieri regionali che vi siederanno, tratti da quella classe politica locale che tanto ha fatto lavorare le Procure della Repubblica per lo scandaloso spreco di pubblico denaro. Un Senato che non darà la fiducia al Governo, “novità” ripetutamente esibita dalla Boschi. Peccato che anche qui sia in errore. Infatti anche il Senato del Regno non votava la fiducia al governo in quanto si riteneva che questo importante adempimento fosse proprio della Camera elettiva.

Tanto per precisare.

22 settembre 2015


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