giovedì 27 novembre 2014

UN TRITTICO ECCELLENTE

Sulle pagine web de "Un Sogno Italiano" sono apparsi in queste ultime ore una serie di articoli di grande interesse.
Articoli che ci permettiamo di porgere all'attenzione dei Lettori di questo blog, ben conoscendo la loro attenzione per le tematiche di interesse sociale.
 
Dall'articolo "I dolori del giovane Renzi" a firma Senator, ad una miscellanea di notizie sotto il titolo di "In punta di penna", a quello del Prof. Salvatore Sfrecola che chiosa un intervento di Paola Italiano su "La Stampa" relativo a sentenze dal sapore 'storico' sulla pericolosità dell'amianto.


I dolori del giovane Renzi
di Senator

Non nascondo che io, uomo di destra, ho avuto una istintiva simpatia per Matteo Renzi quando è comparso all’orizzonte della politica nazionale, in occasione delle primarie per la leadership del Partito Democratico perdute con Piergiorgio Bersani. Ne apprezzavo il giovanile entusiasmo, il linguaggio efficace, la capacità di coinvolgere le persone nella enunciazione di riforme da fare, necessarie per la ripresa economica del Paese, con istituzioni parlamentari più efficienti, meno burocrazia, meno tasse, una scuola migliore, una giustizia più veloce nel tutelare i diritti dei cittadini. Nell’era di Twitter, che impone di dare un senso il più possibile compiuto ad un pensiero in 140 caratteri Renzi comunicava efficacemente con italiani stanchi delle liturgie di una politica che poco ha fatto per rispondere alle esigenze delle persone e delle imprese.

Ho atteso che dalle parole si passasse ai fatti. E qui ho avuto i primi dubbi sulle prospettive del suo governo. L’idea di una riforma al mese, dall’amministrazione al fisco, dalla giustizia al lavoro, alla scuola sarebbe stata affascinante se la squadra di governo non si fosse immediatamente dimostrata inadeguata rispetto alla mole delle cose da fare per avviare concretamente le riforme enunciate.

Giovani di belle speranze e belle ragazze collocate in posti di responsabilità in passato affidate a politici o tecnici esperti che non erano riusciti a fare un passo in avanti. Giovanotti e ragazze senza alcuna esperienza politica, senza cultura amministrativa, senza preparazione giuridica, come attesta l’Espresso in edicola che bolla impietosamente con un “bocciato in legge” il governo e le sue riforme. A partire da quella costituzionale, avviata baldanzosamente e impantanata in una revisione del Senato che non si capisce bene che ruolo avrà, al di là di apparire una sorta di dopolavoro dei consiglieri regionali in trasferta a Roma. 100 senatori mentre rimangono 630 deputati. Dimezzarli sarebbe stato il minimo da fare.

E, poi, le riforme della Pubblica Amministrazione, della Giustizia, delle procedure di spesa per le opere pubbliche, tutte decise con decreti legge convertiti sulla base di un voto di fiducia che ha mortificato il Parlamento, che, soprattutto, non ha consentito miglioramenti del testo, anche sulla base delle riflessioni che andavano maturando tra chi ha esperienza di queste cose.

Tutto con un cronoprogramma, come si direbbe con linguaggio dei contratti di appalto, inadeguato ai tempi tecnici e ad un minimo di approfondimento delle tematiche affrontate e definite evidentemente da ghost writers del “cerchio magico”, giovani professionisti del privato poco esperti di amministrazione e giustizia o di procedure di appalto se, per semplificare, è stato prodotto un decreto che riempie ben 189 pagine fitte fitte della Gazzetta Ufficiale.

E, ancora, errori politici, come quello di farsi troppi nemici, a destra e a sinistra. Tra i dipendenti pubblici, i magistrati, i pensionati, e via enumerando. Un errore che il giovane Renzi rischia di pagare caro. Anche il domatore dei circhi entra nella gabbia delle tigri avendone una che in ogni caso è disposta a difenderlo. Così, se il ridimensionamento dello strapotere dei sindacati, che poco ha portato di buono al Paese negli anni passati ingessandolo pesantemente, è stato generalmente apprezzato, non è stata una mossa intelligente manifestare un aperto disprezzo per le loro istanze. Come aveva fatto con i magistrati e gli altri che a lui si sono opposti, a volte con ragionevolezza.

“Macchè uomo solo al comando” ha replicato Renzi quando si è detto che si fosse circondato da mezze figure per poter decidere in solitudine. E adesso si trova a combattere su più fronti, circondato da critiche anche in casa, da persone che è sbagliato dire che sono venti anni indietro, come ha affermato ieri la Serracchiani riferendosi alla evocazione dell’Ulivo da parte della Bindi. Quelle istanze hanno seguito, anche se minoritario, che potrebbe ampliarsi a seguito del malessere evidente nelle elezioni regionali in Emilia Romagna, una regione dove si votava senza se e senza ma. Come in Toscana, dove nel Mugello rosso è stato votato, perché imposto dal partito, Antonio Di Pietro, un uomo che è a destra di tutti.

Insomma, Renzi si sta facendo male da solo ed ha disperso un patrimonio di credibilità che si era conquistato con slogan e slide. E con la giovane età, peraltro troppo enfatizzata. La storia conosce di primi ministri giovani, in Italia Benito Mussolini è salito al potere a 45 anni, nel Regno Unito William Pitt, aveva da poco superato i 20.

Scendendo ieri dal Colle, da dove il Capo dello Stato più volte lo ha ammonito a fare presto “e bene”, avrà riflettuto sugli errori fatti, forse, c’è da aggiungere, perché il giovane fiorentino è un po’ presuntuoso. E questo nella vita, e in politica, non porta lontano.

27 novembre 2014

 
In punta di penna

Disaffezione per le regioni: “È ormai cresciuta moltissimo l’insofferenza per l’istituto regionale: se la sorte delle Regioni fosse affidata a un referendum è probabile che la maggioranza ne proporrebbe l’abolizione”. Lo ha scritto Angelo Panebianco sul Corriere della Sera del 25 novembre (“Il voto di chi non vota”) aggiungendo che “è inevitabile che ciò favorisca l’astensione”.

Non solo, anche il profilo di molti candidati lascia a desiderare agli occhi di elettori che hanno potuto verificare come coloro che avevano votato negli anni passati hanno dimostrato di considerare i fondi dei gruppi consiliari, finalizzati a sovvenire alle esigenze dell’attività politica e istituzionale, come un gruzzolo da usare per finalità assolutamente personali, come le cronache hanno abbondantemente dimostrato.

In proposito vale la pena di ricordare che la Corte costituzionale, con una recentissima sentenza, la n. 263 del 17 novembre, ha ribadito che l’esercizio del controllo "non può non ricomprendere la verifica dell’attinenza delle spese alle funzioni istituzionali svolte dai gruppi medesimi, secondo il generale principio contabile, costantemente seguito dalla Corte dei conti in sede di verifica della regolarità dei rendiconti, della loro coerenza con le finalità previste dalla legge”. E rammenta di aver già auspicato “forme di controllo più severe e più efficaci”.

 
Si torna a fumare di più: è una generale constatazione che, dopo un periodo nel quale, auspice il Ministro della sanità (oggi della salute) Sirchia, gli italiani si sono dimostrati virtuosi il fumo ha ripreso alla grande. Fumano, come sempre, più le donne e, purtroppo, i giovani. Basta andare nelle vicinanze di una scuola superiore per constatarlo. L’allarme delle società scientifiche è grande, come scrive Margherita De Bac sul Corriere della Sera.


Telefoninomaniaed a proposito di scuole ecco una frase colta nei pressi di un importante ginnasio liceo della Capitale, il Mamiani. “se non avessi il cellulare non saprei come passare il tempo durante la lezione”. Cattiva educazione nei confronti del docente e incommensurabile idiozia. Ma mi è tornata alla mente una frase di mio notto, professore di italiano e latino nel liceo di Trani. “Quando un ragazzo va male a scuola nella maggior parte dei casi è colpa del docente”. Nel senso che non sa interessare e coinvolgere gli studenti. Idiozia e maleducazione a parte.

 

Lo ricorda Paola Italiano su La Stampa :
La denuncia della pericolosità dell’amianto in due sentenze di inizio ‘900

di Salvatore Sfrecola

Scritta a penna, com’era abitudine all’epoca, ma ancora in Cassazione nel secondo dopoguerra, spunta dal polveroso archivio del Tribunale di Torino una sentenza del 31 ottobre 1906, emanata in nome del re Vittorio Emanuele III, confermata in appello un anno dopo, nella quale si denuncia la pericolosità della polvere di amianto. L’ha ricordata Paola Italiano, che ne ha scritto su La Stampa riportando passi di quella lucida pronuncia di 120 anni fa, quando la gente cominciava a morire per la fibra killer respirata lavorando nelle fabbriche del Canavese. E fu subito uno scontro tra diritto e scienza, allora come oggi, tra chi sosteneva e sostiene la pericolosità della polvere di amianto e le imprese interessate a negarla. Nonostante, come afferma la Corte d’appello di Torino, sia “cognizione facilmente apprezzabile da ogni persona dotata di elementare cultura che l’aspirazione del pulviscolo di materie minerali silicee come quelle dell’amianto può essere maggiormente nociva” di altre polveri. “Elementare cultura” per dire che non occorre un premio Nobel in medicina per ritenere provato il danno di chi deposita nei polmoni la polvere di silicio. Poi verranno indicazioni più puntuali sulla base dell’esperienza maturata negli ospedali della zona per patologie altrove non riscontrate.

Paola Italiano riporta alcune frasi della sentenza di primo grado: “l’avvocato Pich quando scrisse che la mortalità in genere è maggiore fra i funerali dell’amianto che fra quelli delle altre industrie; i certificati prodotti lo provano in modo veramente irreputabile”.

Quale commento a questa vicenda? Ci sarà certamente qualcuno il quale dirà che i giudici fanno politica industriale si chiudono gli impianti e impongono l’adozione di cautele per evitare emissioni inquinanti gravemente lesive della salute. Che è compito dei giudici tutelare sulla base della Costituzione che all’articolo 32 individua la salute “come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. E qui emerge la disattenzione del legislatore e dell’autorità amministrativa e la loro subordinazione ad interessi privati non meritevoli di essere salvaguardati, perché se lo sviluppo industriale è funzionale al benessere della comunità questo non può essere raggiunto a danno della vita dei lavoratori. Costringere persone che hanno bisogno di lavorare a scegliere fra il guadagno per sostenere le proprie famiglie e la salute è certamente una dimostrazione dell’incapacità della classe politica di considerare e tutelare valori fondamentali come quelli della dignità del lavoratore, della su< salute e dell’ambiente. Perché molte strutture industriali che producono fattori inquinanti oltre a danneggiare la salute degli addetti e delle popolazioni residenti alterano gravemente le condizioni ambientali in un Paese, l’Italia, che affida alla meravigliosa natura che ne ha fatto un tempo il giardino d’Europa anche una preziosa realtà turistica.

Eppure c’è da scommettere che in questo Paese ad alto tasso di illegalità qualcuno, senza preoccuparsi di offendere la memoria dei morti, continuerà a ripetere, senza vergognarsi, che i giudici debordano dalla funzione loro propria, che svolgono attività di supplenza, che fanno politica industriale.


26 novembre 2014

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