giovedì 31 ottobre 2013

NUOVO PRESIDENTE ALLA CORTE DEI CONTI

Su cortese autorizzazione dell'Autore, porgo alla c.a. dei miei Lettori i contenuti di un articolo tracciato dall'Ill.mo Prof. Salvatore Sfrecola sul blog 'un sogno italiano' in occasione della nomina di S.E. Raffaele Squitieri a Presidente della Corte dei Conti.
 
 
 
Raffaele Squitieri Presidente della Corte dei conti

di Salvatore Sfrecola

Il grosso pubblico lo ha conosciuto in questi giorni, apprendendo dai giornali e dalle televisioni che, intervenendo in rappresentanza della Corte dei conti in alcune audizioni parlamentari sul disegno di legge di stabilità, aveva manifestato alcune perplessità sul provvedimento. Secondo i giudici contabili, infatti, la Tasi, “che moltiplica il suo peso rispetto a quello incorporato nella vecchia Tares e che lascia ai Comuni la facoltà di rideterminare l'aliquota, crea il presupposto di aumenti di prelievo da parte degli enti locali con aliquota Imu inferiore al massimo previsto dalla legge”. Una cauta riflessione che, non c’è dubbio, sarà piaciuta a molti.

Ma Raffaele Squitieri, che ieri il Consiglio dei ministri ha nominato Presidente della Corte dei conti, su designazione unanime del Consiglio di Presidenza della magistratura contabile, è personalità nota tra gli addetti ai lavori, all’interno della pubblica amministrazione e non solo. Fino a ieri Presidente della Sezione del controllo sugli enti e Presidente aggiunto, in precedenza ha ricoperto incarichi importanti nell’Istituto di viale Mazzini, impegnato soprattutto nel controllo ma anche nella giurisdizione avendo presieduto la Sezione giurisdizionale regionale per la Regione Molise.

Tra gli incarichi extragiudiziari va ricordato quello di Capo di Gabinetto del Ministro per i beni e le attività culturali e Presidente del Collegio dei revisori del CONI. In questo ambito Squitieri ha ricoperto altri importanti incarichi.

La sua nomina è stata accolta con grande soddisfazione dai colleghi, come dimostra il gran numero di messaggi trasmessi via mail sulla posta interna, che gli riconoscono grande capacità di lavoro anche nelle sedi collegiali dove si confrontano opinioni e indirizzi dottrinali e giurisprudenziali, attitudine ad assumere rapidamente decisioni dimostrata nel periodo nel quale, da Segretario Generale della Corte dei conti, ha svolto un ruolo fondamentale per il buon funzionamento dell’Istituto.

Da Squitieri i magistrati della Corte dei conti si attendono che l’ascolto del mondo politico e governativo, assicurato a Squitieri da amicizia e stima personali consenta alla Corte, alla quale di recente sono state attribuite importanti funzioni in materia di controllo su Regioni ed enti locali, di assumere un assetto organizzativo ed un profilo operativo adeguato alle aspettative di chi auspica un indirizzo di gestione delle risorse pubbliche conforme alle regole della legalità e dell’efficienza.

I colleghi si attendono, in particolare, una valorizzazione dei momenti collegiali allo scopo di assicurare, dopo averli adeguatamente dibattuti, indirizzi uniformi che diano alle deliberazioni della Corte l’espressione di pronunce dotate di certezze che aiutino amministratori e funzionari nel loro difficile compito a fronte di bilanci sempre meno ricchi in presenza di una crescente richiesta di servizi provenienti dalla comunità amministrata.

Un compito impegnativo, dunque, quello che attende Raffaele Squitieri sul più alto scranno della Corte dei conti, una Istituzione fondamentale del nostro ordinamento che ha appena festeggiato i 150 anni di vita nello stato unitario, che nel 1862 fu il primo giudice civile ad estendere la propria giurisdizione sull’intero Regno, come tenne a sottolineare Quintino Sella, Ministro delle finanze, in occasione dell’inaugurazione della Corte a Torino.

Primo giudice perché la preoccupazione degli statisti dell’epoca era quella di assicurare il buon andamento della finanza pubblica, allora come oggi gravata da un pesante debito pubblico. Con un sola differenza, non da poco. Che il debito pubblico con il quale l’Italia finalmente unita si trovava a fare i conti era in gran parte di origini che possiamo definire nobili, in quanto conseguenza delle spese sostenute per le guerre del Risorgimento, mentre oggi il peso del debito consegue a scelte dissennate lungo alcuni decenni, nel corso dei quali la regola è stata la sistematica violazione delle norme costituzionali sulla copertura delle spese.

Si è detto più volte che è stato la distribuzione di ingenti risorse è stata fatta dai governi degli anni ‘6 e ’70 per assicurare la pace sociale. Il pericolo è che la si perda per l’aggravarsi della crisi economica.

In questo contesto, come dimostrano le parole di Raffaele Squitieri che abbiamo ricordato, la Corte dei conti continuerà a svolgere il suo ruolo di custode del pubblico erario con le azioni concrete e le riflessioni che offre all’attenzione di Governo e Parlamento.

30 ottobre 2013
 
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Oltre ciò - specie per le parti informative a contenuto storico e/o divulgativo - i Lettori, ovvero quanti comunque interessati alla materia, che possano ritenere ciò utile e opportuno, potranno suggerire delle correzioni e/o far pervenire qualche proposta. Proposte che saremo lieti di valutare ed elaborare.   


sabato 26 ottobre 2013

A PROPOSITO DEI CONTROLLI DELLA CORTE DEI CONTI

Cari Lettori,
desidero proporre alla Vostra cortese attenzione un altro importante  articolo dell' Ill.mo Prof. Salvatore Sfrecola, apparso sul blog del foglio di informazioni on-line "Un sogno italiano" ed una successivo comunicato-stampa dell'Associazione Magistrati della medesima Corte dei conti.
Blog che mi permetto invitarVi a seguire, per la qualità dei contenuti.
I contenuti sono, come è consuetudine, di estrema attualità.
Specie in un Paese, com'è il nostro, dove la 'forbice' tra paese-reale e sistema politico-amministrativo non è mai stata così ampia, e dove l'insofferenza dei Cittadini nei confronti delle 'stranezze' e delle 'bizzarrie' della politica (inclusi gli amministratori locali) ha toccato punte ormai elevatissime.
Scusate questo mio commento personale, e un cordiale...
...buona lettura!
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Lettera aperta all’On. Fassino
I controlli della Corte dei conti sugli enti locali: ci attendevamo un “grazie” è giunta una minacciosa censura
di Salvatore Sfrecola
 
Caro Sindaco Fassino,
mi consenta il tono cordiale per la stima antica che ho nei Suoi confronti, per il Suo senso dello Stato, per la Sua disponibilità al dialogo, apprezzata in numerose occasioni, fin da quando, essendo Lei Ministro della giustizia, ebbi occasioni di incontrarla nella mia veste di Presidente dell’Associazione Magistrati della Corte dei conti, insieme ai colleghi delle altre magistrature, per discutere della funzionalità del “sistema giustizia”, che non comprende solo la giustizia civile e penale ma anche quella amministrativa e contabile di cui è gran parte la Corte dei conti nelle sue duplici attribuzioni di controllo e giurisdizione di responsabilità per danno al pubblico erario.
Poi a Torino, dove ho svolto per quasi un triennio funzioni d Presidente della Sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte, ho avuto occasione di parlare più volte con Lei dei problemi degli enti locali, sempre apprezzando l’equilibrio con il quale poneva i problemi ed indicava le soluzioni possibili, soprattutto quelle derivanti dalle limitazioni del “patto di stabilità interno” e, per il capoluogo piemontese, dalle conseguenze dei gravosi impegni finanziari per le manifestazioni sportive invernali degli anni passati e per le celebrazioni dei 150 anni dell’unità d’Italia.
Ed a proposito di celebrazioni per i 150 anni dello Stato unitario non posso non ricordare l’appassionata requisitoria che nella splendida cornice del Salone degli Svizzeri, a Palazzo Reale, il 12 novembre 2012, in occasione delle celebrazioni per l’istituzione della Corte dei conti, Lei indirizzò al Governo, al Parlamento ed alla classe politica nel suo complesso nel denunciare le difficoltà degli enti locali, gravati da servizi essenziali per il cittadino e pure a corto di risorse per poterli rendere nel modo migliore. Le chiesi anche di darmi il testo, che avrei voluto includere nel volume che raccoglieva le celebrazioni torinesi insieme a scritti per i 150 anni della Corte dei conti. Non lo ha scritto, evidentemente per la difficoltà di ricostruire quel che, a braccio, era stato particolarmente efficace e generalmente apprezzato. Quasi un “grido di dolore”, si potrebbe dire evocando il celebre discorso di Re Vittorio Emanuele II pronunciato in apertura dei lavori del Parlamento subalpino dinanzi al Barone Ubner ambasciatore dell’Imperatore d’Austria, per dire delle aspettative dell’Italia intera a divenire stato.
Quel “grido di dolore” oggi Lei, in qualità di Presidente dell’ANCI, indirizza da Firenze alla classe politica che negli anni non ha avuto la capacità di riordinare la finanza pubblica, statale e locale, per farne uno strumento di crescita dell’economia in una contesto ordinato di gestione dei servizi che il cittadino chiede allo Stato ed al proprio comune. Una incapacità che nell’ultimo ventennio ha raggiunto punte di estrema gravità, anche per l’inettitudine dimostrata dai nostri governi in Europa nella quale ha spesso prevalso la legge del più forte, come, del resto, accade da sempre nella storia e nella vita degli stati e delle persone.
Non si è saputo distinguere indebitamento corrente e impegno negli investimenti, tra ciò che pesa ed è destinato sempre più a pesare e ciò che è finalizzato alla crescita, come le spese per le infrastrutture, la tecnologia, la ricerca e la valorizzazione del nostro patrimonio storico artistico, la ragione del nostro turismo, e quanto, creando lavoro, assicura occupazione e introiti fiscali.
D’altra parte non si è riusciti a creare un equilibrato sistema fiscale che, da un lato, renda disponibili risorse per le famiglie, sempre più restie agli acquisti di beni e servizi, e dall’altro ponga a carico degli enti locali quei servizi che i cittadini chiedono e devono contribuire a pagare in una qualche misura compatibile con le loro sostanze e con gli equilibri della finanza.
Ma se la politica, ossessionata dal consenso, non è capace aumentare di qualche centesimo il costo dei biglietti del tram o della sosta delle auto, così gravando i bilanci delle aziende, se non si punta ad eliminare gli sprechi che sono frutto di insipienza gestionale che nasconde incapacità e, più spesso, corruzione è evidente che non si può chiedere allo Stato, come è accaduto nei tempi di vacche grasse, di coprire a pie’ di lista costi che sarebbe stato necessario ridimensionare da tempo.
È così accaduto che, di fronte alla crescente crisi della finanza ed agli sprechi quotidianamente denunciati dai media, Governo e Parlamento abbiano pensato di dover potenziare il sistema dei controlli amministrativi e contabili che una sciagurata riforma ha azzerato. Penso soprattutto ai Co.Re.Co., i Comitati regionali di controllo, che avevano svolto, sia pure con luci ed ombre, un ruolo importante nell’intercettare le spese illegittime. Lo dimostra la circostanza che, a seguito della loro soppressione con la legge Bassanini, non sono più pervenute alla Procure regionali della Corte dei conti denunce di illegalità e sprechi.
Così il decreto legge n. 174 del 2012 ha ripristinato una serie di controlli, soprattutto sulla gestione, affidandoli alla Corte dei conti, una magistratura e, pertanto, indipendente, che svolge da sempre questo compito che, ho ricordato a Torino in occasione dei 150 anni della sua istituzione, risale a molto prima di quella data, al XIV secolo, quando nel Ducato di Savoia operava a tutela della finanza e del patrimonio del sovrano.
Un giudice indipendente per garantire al cittadino che le risorse pubbliche sono effettivamente destinate alle finalità istituzionali, nel rispetto della legge e delle regole dell’efficienza, efficacia ed economicità che deve caratterizzare la gestione di risorse prelevate dalle nostre tasche.
Ma oggi questo controllo viene messo in discussione proprio da Lei, On. Sindaco Fassino. Infatti, riferisce l’ANSA, che il suo “grido di dolore”, invece di richiamare le amministrazioni alla loro, anche passata, responsabilità sia stato indirizzato al Governo centrale e, incomprensibilmente, alla Corte dei conti. “La spending review– riprendo dalla nota dell’Agenzia - è diventato uno strumento pensato e praticato dalle amministrazioni centrali dello Stato in modo punitivo quando non addirittura persecutorio verso gli enti locali. Per non parlare dell'estensione del tutto ultronea ed eccessiva di poteri alla Corte dei Conti e agli organi di controllo, a cui si è concessa un'invadenza del tutto inaccettabile”.
“So bene di usare parole aspre – avrebbe aggiunto - ma si deve sapere che questo è lo stato d'animo dei sindaci”. Da politico ha tenuto conto dell’umore dei Suoi colleghi.
Caro Sindaco, mi delude, moltissimo. E delude gli italiani. Infatti, avendo lanciato via Twitter: “Fassino Presidente ANCI ritiene i controlli della Corte dei conti “un’invadenza del tutto inaccettabile”. Mi delude, invece di ringraziare!” il messaggio è stato riwittato da molti e collocato tra i preferiti. E c’è chi ha risposto “perché ficcate il naso dove non è gradito…”. Altri “che vergogna!”.
Infatti, dov’è la trasparenza della quale tanti si riempiono la bocca? La casa pubblica deve essere una “di vetro”. Invece si sono eliminati i controlli, si è ridimensionato il Segretario comunale, che non è più un funzionario pubblico indipendente ma scelto ad libitum dal sindaco in modo che non faccia molte domande.
Per concludere, Sindaco Fassino, mi domando e Le domando: non è meglio un controllo esterno e indipendente svolto da una magistratura che di conti se ne intende, invece di vivere con l’incubo dell’abuso d’ufficio o di altri reati che, magari inconsapevolmente, sindaci spesso sprovvisti del minimo di cultura giuridica e contabile possono commettere spinti dall’“ossessione del consenso” e, aggiungo, dalle sollecitazioni del clientes?
Se il suo “grido di dolore” desse luogo ad un’iniziativa legislativa per ridimensionare il ruolo della Corte dei conti molti sindaci ne sarebbero contenti, ma ne perderebbe la democrazia ed i cittadini.
24 ottobre 2013
                                                                                                            Salvatore Sfrecola



L’Associazione Magistrati della Corte dei conti esprime sconcerto e forte preoccupazione per le dichiarazioni del Presidente dell’ANCI e Sindaco di Torino, Piero Fassino, e del Sindaco di Napoli, Luigi De Magistris sulla invadenza dei controlli della Corte dei conti nei confronti dei Comuni.

di Salvatore Sfrecola

In un comunicato stampa di questa mattina l’Associazione Magistrati della Corte dei conti “esprime sconcerto e forte preoccupazione per le dichiarazioni fatte dal Presidente dell’ANCI e Sindaco di Torino, Piero Fassino, e dal Sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, sulla invadenza dei controlli della Corte dei conti nei confronti dei Comuni”.

L’Associazione “nel ricordare che le funzioni giurisdizionali e di controllo esercitate dalla Corte dei conti sono svolte nell’interesse esclusivo dei cittadini e dello Stato-comunità, e che le stesse sono previste dalla nostra Costituzione (artt. 100 e 103) a tutela della sana e corretta gestione delle risorse pubbliche, e ai fini del coordinamento della finanza pubblica e della tutela dell’unità economica della Repubblica in relazione ai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, come ha più volte avuto modo di affermare la Corte Costituzionale, respinge con fermezza le affermazioni fatte dai due esponenti politici, non senza rilevare che in un Paese democratico gli amministratori pubblici devono rispondere ai cittadini contribuenti dell’impiego delle risorse pubbliche, e che non può invocarsi l’autonomia al solo fine di sottrarsi a controlli e responsabilità”.

“Nel ricordare, infine, che i controlli della Corte dei conti sono previsti dalla legge e vengono svolti nel pieno rispetto dell’autonomia degli enti locali nell’ottica del coordinamento e del conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, ritiene che le dichiarazioni rese dai due esponenti politici sono tanto più gravi in quanto fatte a fronte della grave situazione economica e finanziaria del Paese, in un momento in cui, mentre si chiedono ai cittadini sacrifici insostenibili, la cronaca continua a far registrare numerosi e gravi episodi di sperpero di denaro pubblico”.

Fin qui il comunicato.

Questo giornale ne ha già scritto con la “lettera aperta” all’On. Fassino mettendo in risalto il carattere inusuale delle espressioni usate da una personalità politica di primo piano e di riconosciuto equilibrio.

Perché, dunque, criticare i controlli, di legittimità e di gestione, svolti da una magistratura indipendente che, come ha messo in risalto il comunicato dell’Associazione, costituisce un insostituibile strumento di garanzia della legalità e della buona gestione? Perché gli amministratori della casa “di vetro”, come si usa dire della amministrazione pubblica, desiderano non trasparenza ma oscuramento, tanto che di essi alcuni hanno detto e scritto “forse hanno qualcosa da nascondere?”.

Non è certo questo, ne siamo certi, l’obiettivo di Piero Fassino e di Luigi de Magistris, dei quali è noto il culto della legalità. Molto più probabile è che i due sindaci siano stati sollecitati da qualche loro collaboratore aduso a gestire con disinvoltura i fondi di bilancio senza controlli. Sicché le verifiche della Corte, di legalità e sana gestione, costituiscono un fastidioso impaccio sulla strada della gestione disinvolta dei denari dei cittadini.

Non è una illazione la nostra. La cronaca giudiziaria e ciò che è sotto gli occhi di tutti i cittadini dicono di sprechi, di servizi inefficienti eppure costosi, di forniture a costi esagerati, di procedure assurde che penalizzano cittadini ed imprese. Basti guardare le condizioni delle nostre città con sedi stradali malamente rattoppate, marciapiedi impraticabili per disabili e persone anziane. Lavori lautamente pagati ma eseguiti nell’assoluta noncuranza delle regole dell’arte. Tanto i controlli ed i collaudi sono approssimativi e spesso mancanti o compiacenti.

Il cittadino ha molteplici motivi di lamentarsi di come gran parte delle nostre città sono amministrate. Che poi le risorse siano insufficienti è un fatto che nessuno nega. Ma occorrerebbe usarle al meglio, non dilapidarle.

Cosa c’entra in tutto questo l’“invadenza” dei controlli ce lo dovrebbero spiegare Fassino e de Magistris, controlli ex post, quindi non sospetti di ostacolare o rallentare l’azione amministrativa.

La polemica è, dunque, speciosa, avviata per compiacere la platea di amministratori spesso incompetenti e comunque convinti di poter avere le “mani libere” in ragione del consenso elettorale alla loro persona ed al programma esposto in occasione delle elezioni.

Anche questo è un equivoco ricorrente ma inammissibile in uno stato di diritto. Il consenso elettorale è espressione massima della democrazia ed individua coloro che i cittadini intendono governi la cosa pubblica secondo le indicazioni contenute nell’indirizzo politico elettorale e di governo. Tuttavia l’eletto, che risponde agli elettori delle scelte e delle realizzazioni, non per questo è legibus solutus.

Sarà giudicato per le sue realizzazioni dal corpo elettorale, se ha realizzato un campo di calcio, una piscina, un parco giochi o un’oasi per anziani. Ma se quelle opere saranno realizzate con dispendio di pubbliche risorse non è il corpo elettorale a giudicare ma un magistrato, che potrà essere un giudice penale, in presenza di reati, o la Corte dei conti se con dolo o colpa grave avrà causato danno all’ente: una spesa inutile o superiore al dovuto, una mancata entrata, la trascuratezza della gestione dei beni patrimoniali.

Da Fassino e de Magistris i cittadini si sarebbero aspettati un grazie alla Corte dei conti. Non è venuto questo riconoscimento. Con grande delusione delle persone perbene.

25 ottobre 2013                                                                       Salvatore Sfrecola
 
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martedì 15 ottobre 2013

... A PROPOSITO DEL 25 LUGLIO 1943

Su cortese disponibilità del Prof. Salvatore Sfrecola, qui riprendiamo un Suo autorevole intervento apparso sul blog de "Un Sogno Italiano", certi dell'interesse dei Leoori di questo blog.
Buona Lettura, dunque!

Sempre a proposito del 25 luglio 1943

La “congiura” del Quirinale

di Salvatore Sfrecola

È giunto nelle librerie da pochi giorni, con la prefazione di Francesco Perfetti, un prezioso volumetto, in tutto 80 pagine, “La congiura del Quirinale” di Enzo Storoni (Il salotto di Clio, Le Lettere, Firenze, € 10) che offre un interessante spaccato degli avvenimenti che precedettero la riunione del Gran Consiglio del Fascismo del 24 luglio, la successiva uscita di scena, il 25, di Benito Mussolini e la fine del Regime. Il titolo richiama quello di un articolo che Storoni aveva pubblicato il 7 maggio 1949 su Il Mondo di Mario Pannunzio, ma il pezzo forte del volume sta nel Memoriale, inedito, scritto fra l’armistizio dell’8 settembre 1943 e l’ingresso a Roma degli alleati il 4 giugno 1944.

Per Storoni si può affermare “senza tema di smentite che artefice unica del colpo di stato sia stata la monarchia”. Anche se non mancano, prova dell’onestà intellettuale dell’uomo, pur fedelissimo al Re, critiche a Vittorio Emanuele III per il pregresso suo atteggiamento nei confronti del fascismo e riserve sulla conduzione di quello che ormai è assodato sia stato un complotto della Corona nei confronti del Duce.

Storoni, avvocato, poi deputato liberale, per entrambi i profili “figlio d’arte” (il padre Emilio era stato un brillante civilista), futuro sottosegretario, aveva conosciuto per motivi professionali il duca Pietro d’Acquarone e ne era divenuto legale di fiducia, ciò che gli avrebbe consentito di entrare in confidenza con lui e di affrontare temi politici quando d’Acquarone divenne Ministro della Real Casa. Ex ufficiale di cavalleria, brillante personalità legata alla Corte, d’Acquarone si apre a Storoni che gli manifesta le aspettative degli intellettuali antifascisti, in particolare di Alessandro Casati e Ivanoe Bonomi, già presidente del Consiglio, che il duca riceve e fa ricevere dal Re.

Non è facile. Nel clima di sospetto ingenerato dalla dittatura e dai controlli diffusi posti in essere dal regime, d’Acquarone prima stenta a comprendere come possano gli antifascisti dirsi certi di un sentire antiregime degli italiani che numerosissimi si erano accalcati sotto il balcone di Palazzo Venezia all’indomani della caduta di Tunisi.

Storoni convince d’Acquarone che quella folla non esprimeva vero consenso nei confronti del regime, che Mussolini ormai aveva perduto “la sensibilità dello stato d’animo della masse”. Aggiungendo che “forse era il suo decadimento fisico e spirituale che lo portava, nel momento più difficile della vita, a circondarsi di persone sempre meno degne che spingevano l’adulazione ai limiti del grottesco: sempre più isolato, sentiva vagamente l’ostilità montante dell’intero paese, l’opposizione crescente in seno allo stesso partito; per evitare di udire e di vedere, si faceva schermo di una cerchia ristretta di cortigiani”.

Sono gli argomenti di Dino Grandi nella requisitoria a sostegno del suo ordine dei giorno il 24 a Palazzo Venezia.

Per Storoni la monarchia costituisce l’“unico potere in grado di agire legalmente, fornito di indiscutibile ascendente sull’esercito, per ottenere l’abolizione del fascismo e la costituzione di un governo antifascista, che ripudiasse senz’altro la guerra di partito in cui l’Italia era stata trascinata”. D’altra parte al Re giungevano giornalmente migliaia di lettere che davano conto del diffuso malcontento nei confronti del regime.

Con il duca d’Acquarone, dunque, “l’unico intermediario tra la corona e il mondo esterno”, Storoni avvia un dialogo che sorregge con promemoria vari destinati al Re per formulare ipotesi sulla uscita di scena di Mussolini. Osserva l’A. come sarebbe stato difficile, senza il sostegno del Re, che “uomini, i quali per tanti anni avevano prostituito la loro coscienza in una serie di acquiescenze, connivenze, equilibrismi, malversazioni, adulazioni, una volta giunti all’apice della ricchezza e degli onori, abbiano ritrovato quel senso del dovere civico che non avevano mai dimostrato di possedere”. Giudizio duro certamente riferibile alla maggioranza dei componenti del Gran Consiglio non a quanti avevano nel tempo messo in guardia il Duce sull’errore dell’alleanza con il tedesco. Come Grandi, De Marsico, De Stefani, Federzoni. Lo stesso Ciano aveva manifestato in più occasioni preoccupazioni per una alleanza storicamente innaturale, a fronte della ”tradizionale amicizia” verso l’Inghilterra.

Storoni qualifica “colpo di stato” la sostituzione di Mussolini alla guida del governo, come altri giuristi hanno sostenuto. Ma non ne spiega le ragioni sul piano costituzionale un po’ contraddicendosi, avendo attribuito alla votazione del Gran Consiglio la caduta del regime, in quanto “costituzionalmente sanzionava l’allontanamento di Mussolini”. Il quale, in ogni caso, avrebbe presentato al Re le proprie dimissioni, nel corso dell’incontro con il Sovrano quel pomeriggio del 25 luglio a Villa Savoia.

Prezioso, dunque, il Memoriale di Storoni, un tassello fondamentale per la comprensione di un drammatico passaggio storico che avrebbe avuto un seguito ancora controverso l’8 settembre, alla comunicazione dell’armistizio, e successivamente con l’occupazione di gran parte dell’Italia da parte delle forze armate tedesche decise, su ordine di Hitler, a farla pagare ai “traditori” italiani. Un intento che costerà caro anche al Terzo Reich per aver distolto da altri fronti truppe eccellenti che avrebbero potuto essere meglio impiegate altrove.

Il dopo 8 settembre, dunque, è ancora un tema da approfondire.


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domenica 13 ottobre 2013

UN PENSIERO PER I NOSTRI MARO'

 
 
 
 
TROPPA POCA ATTENZIONE
VIENE RISERVATA
DAI MEZZI DI INFORMAZIONE
ALLA PERDURANTE SITUAZIONE DEI NOSTRI MARO'
 COSTRETTI A RIMANERE IN INDIA
PRIVATI DELLA PROPRIA LIBERTA'.
SOLLECITARE LA MASSIMA ATTENZIONE E IL FATTIVO IMPEGNO 
DELLE AUTORITA' ITALIANE, 
E' DOVEROSO. 
 CHIEDERE INOLTRE IL MASSIMO, COSTANTE INTERESSAMENTO DEI CITTADINI,
E' IL MINIMO CHE SI POSSA FARE
IN QUESTO FRANGENTE.
 
AI MARO' E ALLE LORO FAMIGLIE, VA SEMPRE LA NOSTRA SOLIDARIETA'
E IL NOSTRO
PENSIERO!
 
 
 
 


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lunedì 7 ottobre 2013

VERGOGNA: Sì, CERTO! MA CHI DEVE VERGOGNARSI?

Vergogna!
Giusta la parola, il concetto, adoperato senza indugio o remore da Papa Francesco.
Una vergogna soprattutto morale, etica: a livello umano, di civile convivenza. di storia dell'uomo e delle genti.
Ed a questa parola il Papa ha fatto seguire il gesto nobile - e corretto, per una Chiesa così grande come quella Cattolica - della designazione di un proprio Elemosiniere cui ha conferito un incarico particolare.
Meno giusto che la parola possa essere stata ripresa da altri soggetti, specie se vestono i panni dell'uomo politico.
Anche se l'intimo sentire era quello più triste e sincero, le parole di siffatti soggetti hanno sempre valenza non personale bensì politica.
Gli Italiani non devono vergognarsi per le inefficienze ed inefficacie altrui.
Gli Italiani hanno dato molto e molto continuano a dare: con la generosità e l'altruismo che è loro congeniale, all'insegna della tolleranza e della partecipazione ai mali e disagi altrui, anche in una fase socio-politica del tutto particolare.
Ancor più - mi si passi il termine di paragone - hanno dato i militari ed il personale civile impegnato in prima linea in questo specifico e delicatissimo contesto.
Ma la severissima lezione che, per l'Europa e il Mondo intero, scaturisce da quest'ultima - purtroppo, solo in ordine di tempo - tragedia nel Canale di Sicilia, non deve essere fraintesa o, peggio, distorta con varianti tra il soggettivo e l'utilitaristico: ne potrebbe originare un effetto perverso e certamente non voluto, tale da alterare lo stesso concetto di "accoglienza".
Nei fatti, potrebbe essere lanciato un messaggio tale da alimentare in modo anomalo attese e speranze altrui, incrementando il conseguente lucroso interesse dei mercanti di uomini.
E' opportuno, a mio avviso, che piuttosto che dire "venite", si dica "non partite, potreste morire nel viaggio", si dica "non mettetevi nelle mani dei mercanti di uomini", si dica "vi aiuteremo a crescere, da subito: non abbandonate la vostra terra", si dica "spezzeremo il nostro pane con voi, anche se ne abbiamo a malapena per noi".
Se verrete, vi accoglieremo come meglio potremo: ma se potremo aiutarvi là dove siete potremo fare ancora di più e meglio.
Chi avrà voce, la giusta voce  per dirlo?
L'Italia?
L'Europa?
Le Nazioni Unite?
Non saprei: ma fino a quel momento, fino al momento in cui non sarà varata una soluzione corretta, equilibrata, definitiva, dignitosa e quindi accettabile per le parti più disagiate e bisognose,  il termine "vergogna!" pronunciato da Papa Francesco aleggerà nell'aria.

                                                   Giuseppe Bellantonio
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