In
queste ore, il mondo ricorda l'ormai famoso discorso di Martin Luther
King del 1963, ove egli sottolineava con energica enfasi il suo
sogno: quello di veder cadere le barriere di disuguaglianza, di
divisione e di illiberalità che negli Stati Uniti segnavano allora
il confine tra “bianchi” e “neri”di uno stesso Popolo.
Il
suo I HAVE A DREAM
(io ho un sogno) – in realtà più aspetti di una stessa grande
aspirazione, dichiarata con la frase evocativa/invocativa, più volte
ripetuta, “I have a dream” – è rimasto nelle menti e nei cuori
di più generazioni, ed é sempre attuale: nelle nuove generazioni, e
quindi nella nostra quotidianità, sta a sottolineare il desiderio di
pervenire ad un qualche risultato, ad una qualche miglioria, su base
sociale e politica.
Si
dirà: è normale avere dei sogni, tutti ne hanno.
Ma
è un periodo che i sogni, negli italiani, sembrano essersi spenti:
mortificati dalla pesantezza di giorni dal carico via via sempre più
oneroso, in uno all'amara constatazione che i correttivi proposti o
approvati pur se importanti hanno poco mordente, stante la loro
angustia operativa in ambito spazio-temporale.
E
se ci sono timidi tentativi di scrollarsi di dosso questa lordeur,
non é difficile assistere ad un fuoco incrociato di sbarramento,
teso a dissipare l'importanza delle cose importanti e ad imporre la
rilevanza di cose (almeno per ora) superflue.
Ma
perché non si vuole che gli Italiani prendano coscienza con
l'estrema serietà, con la severità, della situazione? Perchè
ancora c'é chi minimizza, o che tenta di stornare l'attenzione da
temi importantissimi? Possibile che ancora si sia impantanati nel
trattare del “destino politico” (ma anche umano e sociale) di uno
ed uno solo soggetto politico, dibattendo (e lacerandosi tra di loro)
se e come mantenerlo “in vita” o “ucciderlo” o dilatare fino
allo spasimo i tempi nell'attesa che qualcun altro (ma chi e come?)
possa intervenire all'ultimo istante per togliere le “castagne dal
fuoco”, e così salvare la faccia di chi si é arroccato su
posizioni intransigenti (in nome di verginità perse da tempo, dove i
“puri e duri” di un tempo si sono evaporati)?
Possibile?
Con
gli Amici al bar, con cui sono uso scambiare le mie opinioni
personali, ricevendo in cambio preziose considerazioni –, che sono
poi le considerazioni dell' “uomo comune”, ossia di tutti coloro
che ragionano con disarmante semplicità e con le proprie teste, non
facendosi trarre in inganno dalla fumosità di ragionamenti
aprioristici e pre-confezionati – notiamo che le comuni valutazioni
della gente, ancorché depurate da ogni possibile ed eventuale
pulsioni idealista, sono pressoché allineate.
Vista
la sede, scriverne in modo ampio potrebbe forse essere interessante,
ma – in fondo – non si farebbe che ricalcare con altre parole i
ragionamenti già espressi (e quindi: sentiti o letti) da molti altri
soggetti, anche autorevoli.
Ma
qui posso lanciare una serie di flash
che, in pratica, equivalgono alle domande, agli interrogativi, che
molte gente si pone.
Le
difficoltà sono iniziate alla fine del lontano 2006 con la crisi dei
mutui subprime
negli USA, ed il conseguente contagio a livello mondiale. Un
contagio che, tra alti e bassi, si é dilatato a dismisura nel tempo,
cambiando anche di connotazione, ma incidendo in modo sostanziale e
sostanzioso sulle finanze e sulle economie di tantissime Nazioni.
Con
la crisi sono venute a emergere delle Nazioni più forti ed altre
meno, ma anche degli appetiti egemonici che dimostrano che – nei
corsi e ricorsi storici – al verificarsi di determinate situazioni,
sono in pochi a resistere alla loro matrice di velleitarismo o di
grandeur.
Alcuni
Paesi economicamente sono crollati (e per “aiutarli” li si é
fatti indebitare in modo talmente gravoso da sopprimerne autonomia e
rappresentatività internazionale), mentre altri vengono mantenuti in
una condizione di rianimazione che – passando per le varie fasi di
“terapie intensive” drastiche e talvolta incomprensibili,
contraddittorie e illogiche – li fa stare sospesi tra vita (ma
forse é meglio parlare di “sopravvivenza”) e morte (dovuta non
a cause naturali, ma a “strangolamento finanziario”, forse
casualmente sostenuto dalle premure di infermieri premurosi che, con
la scusa di mettere la flebo con le migliori vitamine,
“inavvertitamente” inciampano, staccandola, nella spina del
respiratore).
Le
vicende politiche e il comportamento dei leader di partito (politici
e non) cui questi si riferiscono, sono sotto gli occhi di tutti:
difficile quindi non valutarli per ciò che rappresentano; sembra
quasi che non si siano resi conto dello stremo cui si è giunti e
dell'intolleranza crescente con cui la gente segue le vicende di una
classe politica (nel suo complesso molto articolato e variegato,
specie trasversalmente) dai comportamenti incomprensibili, lenti,
arzigogolati e complessi, spesso di retroguardia (leggasi: il
pervicace e dichiarato attaccamento a formule di vetero-idealismo,
cui non fa riscontro la realtà dei tempi), ancora più spesso
dimostratisi poco incisivi nel dare quel “colpo di timone” -
democratico, liberale, legittimo – che tutti invocano.
Le
tentazioni ora di chi – sonoramente battuto in fase elettorale, e
che quindi é stato penalizzato dal “non consenso” degli elettori
(dimostratisi meno suggestionabili di quanto si credesse, e
provatamente celeri nel bocciare domani chi hanno promosso ieri -
pensa di mettere cappello su una poltrona di leader che potrebbe
liberarsi tra poco, si coniugano con quelle di chi coltiva il
desiderio di sposare in un unico contesto forze spurie e persino
conflittuali (l'unico cemento, al momento, é il comune “odio”
per un avversario che, ai loro occhi, altro non é se non un nemico
da abbattere): le cui conseguenze sarebbero tragiche per le tasche
dei cittadini.
Mi
riesce difficile non immaginare che le uniche “grandi” misure che
si saprebbero prendere in tale evenienza, potrebbero essere solo
quelle pervase da demagogia e da un pernicioso
“paleo-anticapitalismo” di ritorno: senza poter intraprendere
grandi misure alternative a quelle che altri hanno preso o potrebbero
avere in animo di intraprendere, sbandierando termini come “equità”
e “colpire chi più ha” (teoricamente valide, solo se applicati
nella realtà), si lancerebbero nel succhiare linfa a chi non si può
sottrarre. Le tasse sui patrimoni, sui depositi bancari, sulle case
(prime, seconde, terze e... contorno), sulle auto, sui carburanti e –
in estrema sintesi – su tutto ciò che può ricondurre all'
“odiato” concetto di proprietà (ancora considerata come “un
furto”... anche dai ricchi proletari contemporanei e dai ricchi
politicanti simil-proletari), sono in agguato: pronte ad essere
tirate fuori da cassetti polverosi, dove giacciono simili a sogni
(vedete? Siamo sempre nel settore dei sogni) inerti ma non inermi,
come serpenti nel paniere. Pronti a destarsi ed a tirare fuori la
testa non appena il pifferaio di turno sia pronto a suonare la giusta
nènia.
Ancora
attendiamo, noi italiani, che qualcuno ci spieghi i perchè di una
strana equazione: più di 1.000.000 di posti di lavoro persi in
Italia, dicono. Più di 1.000.000 di posti di lavoro creati
all'estero da aziende italiane che hanno delocalizzato o che si sono
trasferite. Dov'erano i sindacati, e quali interessi di nicchia
stavano difendendo per non accorgersi di ciò che avveniva e
contrastarlo: anche e soprattutto attraverso “contratti di
solidarietà”, anche e soprattutto rivedendo seriamente e
definitivamente i rapporti aziende-sindacati-lavoratori, anche e
soprattutto eliminando la tutela di “nicchie” (non di tutti i
lavoratori, bensì ora di questi ora di quelli: ma comunque di quei
soggetti che possano garantire riconoscenza - e solidale
mobilitazione – in cambio di privilegi e particolarismi). Qualcuno
ha mai sentito parlare di sindacati che, nel timore che l'azienda X
possa chiudere (per “fuggire” all'estero, o perchè incapace di
produrre il reddito necessario a proseguire l'attività), così
mettendo sul lastrico X lavoratori e le loro famiglie, si siano fatti
promotori nel proporre all'azienda una temporanea riduzione di salari
e stipendi e allo Stato una riduzione di tasse e oneri sociali a
carico di quell'azienda, in uno a incentivi finanziari?
Qualcuno
ha ascoltato l'intervento di un rappresentante istituzionale che si
sia speso, ovvero si sia reso disponibile, in tal senso?
C'é
qualcuno che pensa che un lavoratore con famiglia e propri carichi
finanziari (del tipo, mutuo per la casa) preferirebbe essere
licenziato piuttosto che mantenere il proprio posto di lavoro,
guadagnando un po' di meno e – fors'anche – lavorando un po' di
più?
Impensabile,
dirà qualcuno di voi!
Impensabile,
in Italia: in questa Italia! Mi permetto di rispondere io.
L'esempio
di Volkswagen - e di mille società come questa, all'estero – sono
sotto gli occhi di tutti (salvo che dei miopi e di chi si para gli
occhi, per non vedere).
C'é
un giusto e corretto impegno a contrastare l'evasione fiscale, e
tanto la Guardia di Finanza che l'Agenzia delle Entrate espletano
un'azione intensa. Ma, almeno per ciò che le cronache ci riportano,
poco fruttuosa nel riuscire a fare incassare al sistema-Stato quanto
dovrebbe (e di cui altri cittadini, più solerti, hanno dovuto farsi
carico obtorto
collo).
Se sui ca. 180 miliardi di evasione fiscale accertata e sui ca. 150
di elusione se ne incassino solo una parte percentualmente minima,
vuol dire che all'efficenza del sistema accertativo non fa riscontro
una disciplina di legge che colpisca rapidamente e definitivamente i
colpevoli. I procedimenti sanzionatori devono durare mesi, pur
fornendo ogni garanzia possibile ai soggetti individuati, non anni,
lustri.
E
devono essere colpiti, anche preventivamente, quei soggetti che oggi
si é identificato come responsabili di evasione/elusione: quando si
sente o si legge di stime che snocciolano cifre e percentuali, credo
sia ragionevole pensare che a monte vi sia qualcuno che faccia questi
calcoli e che si basi su dati ed elementi: tanto oggettivi c he
soggettivi.
Allora,
se si sa “chi” (ormai ci dovrebbe essere uno “storico” tale
da supportare qualunque proiezione/previsione) potrebbe evadere e in
quale misura, perchè non si affronta definitivamente in sede
politica e quindi legislativa questo problema. Ad esempio,
rafforzando e rendendo ancora più incisivo e celere il ruolo
eccellente che la Corte dei conti ha sempre avuto.
Quanto
è costata allo Stato, e quindi ai cittadini, quest'attività di
accertamento? Anche questoi costo va sommato alle cifre sopra
richiamate: e allora, a quanto sale il totale di
evasione/elusione/costi accertativi+costi di giustizia?
Ero
bambino, e ormai mi avvio ai 70 anni, e sentivo parlare di “lotta
all'evasione”: parola che rischia di diventare vuota nel contenuto
pratico, e persino fastidiosa in chi – ascoltando ripetutamente
questo mantra –
deve amaramente constatare che la persistenza della problematica
equivale alla persistenza di mancanza di soluzioni al tema.
Eppure,
gli esempi – se mai dovessimo guardare all'estero – di efficacia
ed efficienza nel sistema fiscale all'estero non mancano; se mai
dovessimo essere carenti di preparazione, potremmo sempre “copiare”,
no? Cos'é che lo frena e perché? Ci sono dei motivi, e quali?
Sarebbe
ora di dire basta e arrivare ad una soluzione definitiva, questa sì
“equa”.
Perché
mai non si procede alla enucleazione – iniziandone quindi subito
dopo la fase attuativa – di un razionale e condiviso/condivisibile
programma decennale (del tipo di quelli adottati nel dopoguerra sotto
l'egida dell'IRI, e che hanno consentito il nostro sviluppo e il boom
degli anni '60 dello scorso secolo), incentrato su edilizia (i
terremoti sono sempre in agguato, in Italia: perchè non avviare una
colossale e pluriennale opera di risanamento rafforzamento edilizio),
agricoltura (un ritorno alla terra – pur se in chiave “moderna”
- sarebbe auspicabile e tale da dare un minimo di futuro a chi oggi
non ne ha), e nuova industria (ossia, una visione nuova del modo di
fare azienda – tanto da parte di chi lavora, come di aziende e
sindacati – basato sulla qualità e sull'innovazione dei prodotti,
cosa congeniale al made
in Italy,
con una totale e radicale revisione della filiera dei costi del
lavoro), con un rilancio massiccio dell'artigianato. D'altronde,
due le considerazioni-base: in primo luogo, tutti questi elementi ci
hanno visto già eccellere e sono stati all'origine di quel benessere
che i nostri nonni ed i nostri padri sono riusciti a trasmetterci; in
secondo luogo, non si può andare avanti all'infinito spendendo (non
c'é “investimento” in questa partita di conto) per sostenere il
sistema cassa-integrazione: meglio sostenere per breve periodo chi
non ha lavoro o lo ha perso, riqualificarlo lavorativamente e
indirizzarlo verso nuove realtà. Il sistema-Stato basato sul
welfare,
e che piace tanto a chi viene nel nostro Paese per essere mantenuto,
ha fatto il suo tempo: e non più essere sostenuto, poiché equivale
a l sottrarre ingenti risorse che potrebbero essere indirizzate alla
produzione di nuova ricchezza. Un po' come le ultime razioni a
disposizione su una barca di naufraghi: la solidarietà prevale
all'inizio, così che le gallette sono divise tra tutti; ma, al loro
ridursi, si assiste mano a mano al sacrificio di coloro che hanno
minori possibilità a favore di quelli che, potendo contare su
maggiori forze/risorse, hanno invece maggiori possibilità di
sopravvivere/vivere.
Quando
si parla di centinaia di migliaia di persone senza lavoro
(disoccupate o inoccupate), parliamo anche del costo per dare loro un
minimo sostegno e che non è coperto da contribuzioni/accantonamenti
da parte del soggetto stesso: un costo puro per la Società, quindi,
di cui si fa carico il sistema lavorativo, ossia quanti attraverso il
proprio lavoro accantonano risorse contributive per il futuro e per
l'assistenza corrente. Questi soggetti (disoccupati o inoccupati)
difficilmente troveranno impiego in un futuro più o meno prossimo
(salvo l'opera di riqualificazione e di reimpiego nei settori che ho
indicato poco sopra), e di loro si dovrà continuare a far carico chi
invece un lavoro ce l'ha (questo è il nostro “sistema”), fino a
che la “macchina” Paese non riprende un minimo di moto, superando
il gravoso stallo attuale: ma ci vorranno anni. Quindi occorrerà
tenere conto che delle generazioni dovranno essere “assistite”
dalla collettività in questo non breve lasso di tempo, e che i costi
che ciò implica potranno essere recuperati in futuro solo con il
ritorno alla produttività/redditività/piena occupazione (la scuola
keynesiana docet, tuttora).
(fine della prima parte)
Roma, 28 Agosto 2013 Giuseppe Bellantonio