domenica 28 luglio 2013

IL PROF. SALVATORE SFRECOLA PROPONE UN'IMPORTANTE ANALISI SUL 25 LUGLIO

Ai Lettori del mio blog.
Ho avuto il piacere di leggere l'articolo odierno a firma dell'Ill. Prof. Salvatore Sfrecola, apparso su www.unsognoitaliano.it .
Per i suoi contenuti, per le chiavi di lettura offerte al Lettore, per l'obiettività e il rigore storico che lo contraddistingue, mi sono permesso di chiedere all'Autore di poterne trarre copia, mettendone a conoscenza un novero ancora maggiore di Lettori.
Sono certo che lo leggerete con attenzione, godendone gli spunti inconsueti.
Graie e buona lettura!
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Evidente e determinante il ruolo del Re

25 luglio la caduta del regime

di Salvatore Sfrecola

La crisi del regime”, come l’avrebbe definita Benito Mussolini intorno alle 3 del 25 luglio, nell’abbandonare la sala del Gran Consiglio, si era consumata nella nottata, quando il dibattito aveva messo in evidenza un ampio consenso sul testo dell’ordine del giorno del Presidente della Camera, Dino Grandi, durissimo nei confronti del Duce. Chiedeva l’“immediato ripristino di tutte le funzioni statali, attribuendo alla Corona, al Gran Consiglio, al governo, al parlamento, alle Corporazioni, i compiti e le responsabilità stabilite dalle nostre leggi statutarie costituzionali”. Per Grandi “il popolo italiano fu tradito da Mussolini il giorno in cui l’Italia ha cominciato a germanizzare. È quest’uomo che ci conduce sulla scia di Hitler; egli abbandonò la via di una leale e sincera collaborazione con l’Inghilterra, e ci ha ingolfati in una guerra che è contro l’onore, gli interessi e i sentimenti del popolo italiano”.

Mussolini, secondo testimonianze univoche, non reagisce. “Il Duce è stanco” – scrive Alberto De Stefani, economista, ministro, autore della riforma dell’amministrazione, in Gran Consiglio ultima seduta, da pochi giorni nelle librerie con una prefazione di Francesco Perfetti (Le Lettere, Firenze), uno dei protagonisti della seduta. “S’abbandona sul suo scranno per cercarvi un sostegno al suo abbandono”. Tutti notano questo atteggiamento rinunciatario. E ne scriveranno suggerendo varie interpretazioni. Per i più è come se avesse la consapevolezza di essere arrivato al capolinea. Che le manchevolezze dell’azione militare, che denuncia ripetutamente e impietosamente nelle quasi due ore del suo intervento, sono a lui addebitabili, quale responsabile della conduzione delle operazioni sul campo e per essere stato per due decenni ministro della guerra senza rinnovare soprattutto l’Esercito, entrato nel conflitto con il fucile ’91 (che significa 1891!), l’armamento della prima guerra mondiale! E sì che proprio Grandi, reduce dall’esperienza di Ambasciatore a Londra, aveva ripetutamente segnalato al Duce l’elevato livello degli armamenti inglesi e lo spirito combattivo di quel popolo che Mussolini insisteva a svilire, fino a definire quello di Sua Maestà l’ultimo esercito del mondo, al punto che Winston Churchill, annunciando alla Camera dei comuni la fine delle ostilità con l’Italia, avrebbe ironicamente affermato che “l’ultimo esercito del mondo ha battuto il penultimo”.

Non è solo la conduzione delle operazioni militari sullo sfondo della riunione del Gran Consiglio, organo del Partito Fascista costituzionalizzato nel 1928 con funzioni consultive del Governo, ignorato da anni (non si riuniva dal 1939) anche al momento dell’entrata in guerra. Infatti De Stefani scrive che “le prerogative del Gran Consiglio gli erano state sottratte dal suo stesso fondatore”.

L’ordine del giorno Grandi ha un taglio politico-istituzionale inequivocabile, a cominciare da quell’invito pressante al ritorno alla legalità costituzionale che il Presidente della Camera, una delle personalità più autorevoli e popolari del regime, al punto da essere indicato come successore di Mussolini, e che era stato il motivo dominante della sua azione politica nell’ambito del regime fascista, anche da Ministro degli esteri e Guardasigilli. Grandi oppone – ricorda De Stefani – alla “mistica della cieca obbedienza” la “mistica della legalità che è presidio spirituale e istituzionale della giustizia tra gli uomini e della loro eguaglianza giuridica”. E, pertanto, chiede l’abolizione del regime totalitario, il ritorno alla Costituzione e la restituzione di tutti i diritti parlamentari e delle prerogative della Corona. Il Presidente della Camera non dà tregua al Duce: “voi credete ancora di avere la devozione del popolo italiano? La perdeste il giorno che consegnaste l’Italia alla Germania. Vi credete un soldato: lasciatevi dire che l’Italia fu rovinata il giorno in cui vi metteste i galloni di maresciallo. Vi sono già centinaia di migliaia di madri che dicono: Mussolini ha assassinato mio figlio”.

Anche De Stefani nel suo diario si rivolge direttamente a Mussolini. “Che cosa vi domandiamo? Il ritorno al rispetto delle leggi, alla loro libera applicazione … Il contrasto tra il partito e lo Stato come è da noi concepito è sempre più profondo ed esso è la causa della scissione tra il fascismo e la Nazione, per cui essa considera il fascismo una struttura parassitaria e fonte di arbitrio”.

Con Grandi voteranno “sì” in 19 (Acerbo, Albini, Alfieri, Balella, Bastianini, Bignardi, Bottai, Cianetti, Ciano, De Bono, De Marsico, De Stefani, De Vecchi, Federzoni, Gottardi, Marinelli, Pareschi e Rossoni). 7 i “no” degli irriducibili (Biggini, Buffarini Guidi, Frattari, Galbiati, Polverelli, Scorza e Tringali Casanova). Suardo si astiene. Farinacci avrebbe votato il proprio ordine del giorno se Mussolini non avesse chiuso la discussione.

Gli storici s’interrogano ancora, cercando di comprendere come e da chi sia stato preparato l’evento, ed anche sul rilievo costituzionale delle scelte del Sovrano, in quel pomeriggio del 25 luglio, a Villa Savoia, quando il Re accetta le dimissioni, spontanee, va sottolineato, del Duce e conferisce l’incarico di formare il governo al Maresciallo Pietro Badoglio. Anzi l’aveva già conferito.

Per tutta la giornata venne mantenuto uno strettissimo riserbo su quanto accaduto. Solo alle 22,45 la radio trasmette il comunicato, stringatissimo, come d’uso: “Sua Maestà il Re e Imperatore ha accettato le dimissioni dalla carica di Capo del Governo, Primo ministro e Segretario di Stato, presentate da S.E. il Cavaliere Benito Mussolini, e ha nominato Capo del Governo, Primo ministro e Segretario di Stato, S.E. il Cavaliere Maresciallo d'Italia Pietro Badoglio”.

Fu una forzatura costituzionale? Per qualcuno fu addirittura un colpo di stato, preparato e condotto in porto da Vittorio Emanuele III. Accuratamente preparato, ormai non ci sono dubbi, probabilmente da due o tre anni, dalla Corona alla quale i “congiurati” intendevano restituire non soltanto il Comando delle Forze Armate ma anche le prerogative statutarie che il Regime aveva compresso sistematicamente.

Per il Re la sua azione è legittimata dall’ordinamento statutario. Egli, in tal modo, “tende a ricondurre l’esperienza fascista all’interno del quadro costituzionale albertino, negando che il Ventennio abbia potuto annullarlo completamente” (P. Colombo, Storia costituzionale della monarchia italiana, Laterza, Bari, 2001, 113)

L’antecedente più immediato è l'udienza del Re al Presidente della Camera il 4 giugno 1943 (il 22 luglio Grandi avrebbe incontrato prima Ciano, a casa di Bottai, poi lo stesso Mussolini). Nell’occasione Vittorio Emanuele, da sempre ligio alle regole costituzionali, suggerì a Grandi di provocare un voto del Parlamento o del Gran Consiglio per lui base legale necessaria per deporre Mussolini. Ciò che solo il Re poteva fare una volta ripristinati i poteri statutari. Sintomatico il rinvio all’art. 5 dello Statuto Albertino, la Carta costituzionale del Regno.

La scelta in questo senso è chiarissima nel documento Grandi. Essa è inglobata nell’ordine del giorno di un organo costituzionale, il Gran Consiglio. Nel colloquio con Grandi Vittorio Emanuele aveva affermato: “sono un Re costituzionale e so perfettamente che il Parlamento non è in grado di funzionare: ma, ciò nonostante, una qualche indicazione mi occorre che mi venga da organi dello Stato e del Paese, in modo inequivoco e certo” (Bianchi, Perché e come cadde il fascismo. 25 luglio crollo di un regime, Mursia, Milano, 1972, 349). Con la conseguenza che alla luce di quella votazione va valutata anche la decisione del Re di incaricare di formare il Governo il Maresciallo Badoglio, senza che fosse sentito il Gran Consiglio, come prevedeva la legge istitutiva. Procedura che ha fatto dire a taluno che Vittorio Emanuele III avrebbe compiuto un vero e proprio colpo di stato. Conclusione affrettata, sostenuta da giuristi antifascisti, comunque antimonarchici, nonostante in regime di statuto flessibile la caduta, per votazione dell’organo supremo del regime, degli istituti tipici di esso dovesse travolgere, nel quadro di un’emergenza costituzionale, il Fascismo e le leggi che lo sostenevano.

Non c’è dubbio, infatti, che le modifiche apportate con legislazione ordinaria all’impianto statutario trovavano comunque un limite nell’essenza stessa della monarchia costituzionale. Come nel caso della successione al trono sul quale il Gran Consiglio si sarebbe dovuto pronunciare, in contrasto con la legge salica, richiamata dall'art. 2 dello Statuto del Regno.

Chi fu il motore della “congiura”? Una iniziativa che parte da lontano, si è detto, immaginata in vari modi d’intesa con il Re che, secondo testimonianze non equivoche, da tempo meditava di allontanare il “collega” Primo Maresciallo dell’Impero, con il quale non sopportava di condividere quel grado che, per definizione, doveva essere unico, rendeva visibile quella “diarchia” che ledeva le prerogative costituzionali del Re ed il quadro istituzionale della Monarchia parlamentare. Ad esempio la legge 24 dicembre 1925, n. 2263, modifica l’impianto statutario secondo il quale “al Re solo appartiene il potere esecutivo” (art. 5) stabilendo che “il potere esecutivo è esercitato dal Re per mezzo del suo Governo”, introduce la figura del “primo ministro” e gli attribuisce la qualifica di “capo del governo”. Una norma dalla quale i giuristi fascisti giungono alla conclusione che “il governo non comprende il re e corrisponde piuttosto all’organo tramite il quale la Corona esercita la funzione esecutiva; essere capo dell’esecutivo, dunque, non significa essere capo del governo” (P. Colombo, Storia costituzionale, cit. 97). “Si assiste, in sostanza, ad un rovesciamento della logica della controfirma ministeriale: qui sembra essere il re a “controfirmare” gli atti dei ministri, piuttosto che viceversa” (ivi).

A proposito del grado di Primo Maresciallo dell’Impero, poi,  è noto che, nel contrasto tra il Re ed il Duce, che intendeva fregiarsene, fu richiesto il parere del Prof. Santi Romano, Presidente del Consiglio di Stato, il quale giunse alla conclusione che con la duplice attribuzione non sarebbe stata messa in discussione la prerogativa regia di capo dell’esercito. Vittorio Emanuele non apprezzerà molto il parere dell’insigne giurista, tanto da dire: “i professori di diritto costituzionale, specialmente quando sono dei pusillanimi opportunisti, come il professor Santi Romano, trovano sempre argomenti per giustificare le tesi più assurde: è il loro mestiere”.

Non è dubbio, infatti, che Vittorio Emanuele III, cui certo in alcuni momenti non ha giovato dinanzi alla storia il suo formalismo costituzionale (“La Camera e il Senato sono i miei occhi e le mie orecchie”, era solito dire), mal sopportava l’invadenza del “cugino” dittatore, soprattutto in quella fase del ventennio nella quale il Duce aveva preso posizioni antinglesi che il Re non gradiva e che non a caso compaiono nell’invettiva di Grandi che denuncia l’abbandono della “via di una leale e sincera collaborazione con l’Inghilterra”. Una collaborazione che Vittorio Emanuele aveva patrocinato ai tempi della prima guerra mondiale.

Alla resa dei conti il Duce sembra rassegnato ad uscire di scena. Troppe le testimonianze in questo senso. Come dimostra l’esperienza della Repubblica Sociale Italiana alla quale fu forzato, anche se pensò fosse una scelta idonea ad evitare l’occupazione militare dell’Italia del Nord con le conseguenze tragiche che erano state sperimentate qua e là per l’Europa.

I fascismo cade all’alba del 25 luglio, senza spargimenti di sangue, al termine di una drammatica ma ordinata votazione in cui i gerarchi rimettevano il potere nelle mani della Corona. Mussolini non si oppone, lascia fare. Perché fu così imbelle? Commenta 70 anni dopo Sergio Romano sul Corriere della Sera: “Se i buchi nella barca non li avesse fatti lui, verrebbe voglia di concludere che, fra i molti protagonisti del 25 luglio, Mussolini non fu il peggiore”.

La resa dei conti era nell’aria, dunque, e nella realtà delle cose, nell’andamento disastroso delle operazioni militari culminate nei giorni precedenti nell’invasione della Sicilia, là dove l’Esercito avrebbe dovuto fermare gli alleati “su quella linea che i marinai chiamano bagnasciuga”, come aveva detto in un discorso del 24 giugno, confondendo la linea di “fior d’acqua”, la parte di superficie della carena della nave limitata superiormente dal piano di galleggiamento, con la “battigia”, che si bagna e si asciuga per effetto del moto ondoso.

L’aveva intuito il pomeriggio del 24 Donna Rachele. Ha come un presentimento, consiglia al marito, che si appresta ad andare a Palazzo Venezia, di far arrestare tutti i gerarchi.

All’alba del 25 luglio e nelle ore successive anche lei si sarebbe resa conto del tradizionale, italico abbandono del perdente. A cominciare dai “fedelissimi”, come i Moschettieri del Duce, dileguatisi alla chetichella, in borghese, da Palazzo Venezia. Ugualmente gli ardori del Console Galbiati, comandante della Milizia, che aveva minacciato di mobilitare le truppe “fedeli”, si smorzano rapidamente. Rimase al suo posto, immobile. Mentre Carabinieri ed Esercito tenevano le posizioni prestabilite, concordate dalla Stato maggiore d’intesa con il Sovrano che avrebbe dovuto affrontare ancora  ben altre, impegnative prove per salvare il salvabile.

28 luglio 2013                                                      Salvatore Sfrecola


sabato 27 luglio 2013

CLAUDIO ANGELINI: GIORNALISTA E SCRITTORE...



     Un male crudele e subdolo, in una manciata di settimane ci ha privati della presenza del Giornalista e Scrittore Claudio Angelini: vero Gentiluomo di grande cultura il cui scrivere é sempre stato caratterizzato da elevati contenuti e da un tratto incisivo e nel contempo delicato.

    Il contributo da Lui offerto attraverso le proprie opere é certamente significativo oltre che cospicuo e non sarà sfuggito ai lettori che hanno avuto il piacere di leggerne, come in esse domini un senso di profonda quiete: cui non é estranea la grande Fede che ha permeato la Sua Vita.

     Scritti concreti e vivi, anche quando improntati a contenuti rigorosi e di spessore: al punto da poter costituire degna testimonianza del Suo percorso terreno, un percorso che rimane vivido e ben presente per i Suoi estimatori.

     Al punto che io stesso desidero celebrarne le qualità ancorché ricordarlo; in un rispettoso presente: in realtà senza tempo.

     L'ultima Sua opera pubblicata, tra la fine del 2012 e l'inizio del 2013, é stato il romanzo “La donna d'altri”, nel quale l'Autore descrive in modo incisivo, puntuale e preciso – al punto di coinvolgere il lettore in modo concreto, trasportandolo a fianco dei protagonisti al punto da avere l'impressione di condividere il loro vissuto – una storia densa di sentimenti profondi, che si fa largo tra le righe del tracciato con ritmi e tinte via via più intensi. In questo scritto, i primi tratti del narratore ci conducono in luoghi ameni e rilassanti, dove la dimensione dell'ozio prende il nome di “relax” e dove la noia di certa quotidianità come pure l'ansia sorda ed impalpabile di certa profonda insoddisfazione, sembra assumere ritmi solo apparentemente routinari, per poi esplodere nella fiamma di passioni coinvolgenti e profonde le cui conseguenze non sempre sono prevedibili.

     Giorgio e Gisèle ne sono i protagonisti principali: quelli, per intenderci, sui quali sono puntanti i riflettori accecanti della ribalta. Ma la scena in ombra è piena di personaggi importanti che, anche con comparse fugaci, aggiungono densità e ritmo ad una narrazione mai banale, dove nulla può dirsi data per scontata. Louis, Elvira, Liliana, Ernesto, Emiliano... personaggi affatto secondari né banali, dove ciascuno rappresenta una storia nella storia: ma l'attenzione finale è scandita dagli sguardi e dai sorrisi di Giorgio Gabriele, dallo sfiorarsi delle mani dei protagonisti, dai ritmi cadenzati e solenni di Mozart, dal sole che accarezza gli alberi e le acque del lago. Persino il grande lago, di solito solcato da battelli carichi di passeggeri spensierati, è presente: le sue acque, le sue onde accompagnano il ritmo che solo la sintesi magistrale di Angelini sa trasmettere in un crescendo che pare tutto travolgere.

     La prolusione a firma del Prof. Luca Filipponi – Presidente della “Fondazione Spoletofestivalart” - invita alla lettura di questo libro, ultima fatica – in ordine di tempo – del fine professore e colto intellettuale Claudio Angelini.

     Una trama intrigante e tambureggiante, densa di colpi di scena e scevra di ovvietà, che molto è piaciuta ai lettori.

     Ancor prima - per i tipi di Graus Editore, nella collana “Gli Specchi di Narciso”, 2012 – lo scrittore Claudio Angelini ha narrato una splendida storia ambientata nella tranquillità di spazi sereni, così che sulla descrizione delle azioni e degli stati d'animo dei personaggi si è potuta concentrare tutta la cura dell'Autore.

     Claudio Angelini è conosciuto ed apprezzato critico letterario e di filosofia, presente per anni nella pagina culturale de “Il Popolo e de “L'Osservatore Romano”.

     Saggista, traduttore dalle lingue classiche e dalle principali lingue europee, è apprezzato per le sue opere di narrativa e per la sua vèrve poetica: un intellettuale cultore delle belle lettere, di cui i lettori apprezzeranno subito il tratto ricercato, che sa esaltare anche il valore dei particolari, ed il pensiero trasparente.

     Tra le sue pubblicazioni più conosciute, il saggio “Invidiosi e Superbi nell'Inferno di Dante” (Roma, 1997); “Trenta Traduzioni dalle Fleurs du Mal di Baudelaire” (Pagine, 2001); il romanzo “E' già domani” (Gangemi, 2003); “Lirici Greci” (Pagine, 2006); “Venti Sonetti da Shakespeare, E.A. Poe, Il Corvo” (Pagine, 2006); “Fiori della Lirica Tedesca” (Sovera, 2009); “La Grande Poesia Europea” (Terre Sommerse, 201).

     Per “Panta Rhei”, ho avuto il piacere di incontrarlo insieme all'Autrice dell'illustrazione di copertina deLa donna d'altri”, la nota Pittrice Rosanna Della Valle, autrice in esclusiva anche del disegno lì tratteggiato in terza pagina.

     Il 31 Gennaio 2013, Angelini – che nella sua lunga carriera ha raccolto innumerevoli riconoscimenti – ha ricevuto il premio “Comunicare l'Europa 2013” assegnato dalla Camera dei Deputati, mentre successivamente gli é stati attribuito il premio internazionale “Spoletofestivalart letteratura 2012”.

... ma sono certo che Claudio abbia ora ricevuto il Premio per Lui più importante: da Colui che Egli - con il proprio intelletto, con i propri scritti, con le proprie opere, con la propria vita - ha saputo onorare.
 
     Alla Vedova ed ai Familiari tutti di Claudio un forte abbraccio, denso di amarezza per una perdita così grave: anche per la cultura italiana. Con l'auspicio che vogliano ordinare e curare una retrospettiva letteraria delle opere di Claudio, specie per renderne noti gli appunti, le note, i canovacci e le bozze dei suoi preziosi scritti oltre che gli inediti.
 
Roma, 27 Luglio 2013                                         Giuseppe Bellantonio
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giovedì 11 luglio 2013

NON DIMENTICHIAMO I NOSTRI MARO' DETENUTI IN TERRA STRANIERA !

 
 
 
AI NOSTRI PAZIENTI, CORAGGIOSI, DISCIPLINATI FUCILIERI DI MARINA
DEL
BATTAGLIONE SAN MARCO.
 
 
 
I BUONI ITALIANI NON SI SONO DIMENTICATI DI VOI
E VI ASPETTANO !
FINALMENTE DI RITORNO IN TERRA PATRIA:
NELLE VOSTRE CASE, PRESSO LE VOSTRE FAMIGLIE!
 LA COMUNE SPERANZA
E' CHE QUESTA DRAMMATICA STORIA
SI CONCLUDA RAPIDAMENTE:
COSI' METTENDO FINE A UN'ANGOSCIOSA ODISSEA CHE VEDE VITTIME I NOSTRI MARO'
E VIOLATO L'ONORE E IL BUON DIRITTO  
DELL'ITALIA!
 
 
Roma, 11 Luglio 2013                                                   Giuseppe Bellantonio

lunedì 1 luglio 2013

GRAZIE: PER 25.OOO VOLTE !


Grazie alle Lettrici e ai Lettori che hanno avuto la cortesia di seguirmi nella lettura degli scritti che ho posto alla loro attenzione tanto attraverso i miei blog che attraverso altri siti che hanno ospitato i miei interventi.

Venticinquemila volte “grazie”, quindi!

Grazie per i commenti e per le considerazioni che mi sono pervenute: tutte utili a percepire il “polso” dei Gentili Lettori e certamente di stimolo per ulteriori riflessioni, ma anche per nuove proposte.

Grazie! Anche perchè é grazie alla Vostra attenzione che posso comprendere la condivisione o meno dei miei interventi.

Grazie quindi a chi mi ha dimostrato il proprio interesse, tanto in Paesi vicini che in Nazioni più lontane: in ITALIA, in SVIZZERA, nella FEDERAZIONE RUSSA, negli STATI UNITI d'AMERICA, in AUSTRALIA, in GERMANIA, nei PAESI BASSI, in ARGENTINA, in INDIA, in GIAPPONE, in SPAGNA, in FINLANDIA e nel REGNO UNITO.

1 Luglio 2013                                       Giuseppe Bellantonio


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